È in corso in questi giorni ad Atene il seminario internazionale Grecia, paradosso europeo, tra crisi e profughi, organizzato dalle Caritas italiana ed ellenica in collaborazione con gli organismi promotori della Campagna Una sola famiglia umana. Cibo per tutti, tra i quali vi è la Comunità Papa Giovanni XXIII. Il seminario offre un’occasione per puntare i riflettori sulla doppia crisi, quella economica e quella legata all’emergenza migrazioni, che sta affliggendo la Grecia con ripercussioni che riguardano l’intera Europa. Le testimonianze e le riflessioni si alternano alle proposte concrete per un cambiamento di rotta che superi la fase di stallo attuale e ridia slancio all’Europa unita, che oggi sembra aver perso la propria identità ma di cui c’è un forte ed urgente bisogno.
Il seminario è stato introdotto tra gli altri dal Cardinale Mons. Francesco Montenegro, presidente di Caritas Italiana, dal presidente della Conferenza Episcopale Greca, Mons. Papamanolis, e dall’arcivescovo di Atene Mons. Rossolatos.
Il cardinal Montenegro, nel ricordare la visita di Papa Francesco a Lampedusa l’8 luglio di tre anni fa, ha richiamato le parole con cui il Papa ha denunciato la “globalizzazione dell’indifferenza” esortandoci a non dimenticare l’umanità abbandonata che cerca scampo dalle guerre e dalla povertà estrema attraversando il Mar Mediterraneo con enormi rischi e sofferenze.
Il cardinal Montenegro ha inoltre invitato tutti gli organismi ecclesiali presenti al seminario a «formulare proposte rivoluzionarie affinché si possa realmente uscire dalla fase di crisi che l’Europa sta vivendo in questo periodo storico».
A questo appello ha risposto Giovanni Paolo Ramonda, il responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII intervenuto ieri durante la giornata di apertura di lavoro del seminario.
Ramonda ha ricordato che la Comunità Papa Giovanni XXIII è impegnata in molteplici azioni per fronteggiare l’emergenza immigrazione, un impegno avviato dal fondatore Don Oreste Benzi sin dagli anni ’90 nel contrastare il drammatico fenomeno della migrazione schiavizzata delle ragazze forzate a prostituirsi. La Comunità Papa Giovanni XXIII è oggi presente su molti fronti di questa emergenza, come a Reggio Calabria con la casa di accoglienza per i minori non accompagnati che ogni settimana continuano a sbarcare sulle coste del Sud Italia, o come ad Atene con la casa famiglia che accoglie famiglie di profughi in fuga dalle guerre, o come in Libano dove i volontari di Operazione Colomba (il corpo civile di pace della Comunità) vivono da tre anni insieme ai profughi del conflitto siriano.
Proprio dall’accoglienza e dalla condivisione di vita nascono risposte che aprono nuove strade, come quella dei corridoi umanitari, canali legali per la protezione umanitaria di chi fugge dai conflitti che la Comunità Papa Giovanni XXIII ha realizzato insieme alla Comunità di Sant’Egidio, alla Tavola Valdese e alla Federazione delle Chiese evangeliche, la cui esperienza va sostenuta ed ampliata.
Ramonda ha insistito sulla necessità di uscire dalla logica dell’emergenza. È urgente e indifferibile smettere di tamponare solo le emergenze e agire con proposte diverse sia cambiando le regole di un sistema economico che affama il mondo, sia rendendo possibili pace e sviluppo nei paesi di provenienza dei migranti e dei profughi. Occorre intervenire con più decisione e risorse sulle cause strutturali delle ingiustizie che costringono le persone ad avere la fuga come unica scelta. Occorre avviare ampie, rinnovate e più efficaci politiche di cooperazione internazionale per creare sviluppo e ridurre le disuguaglianze, investendo risorse adeguate ed utilizzandole al solo scopo di aiutare le persone ad essere protagoniste del proprio sviluppo.
Ramonda infine ha rilanciato la proposta della Comunità Papa Giovanni XXIII di creare un Ministero della Pace perché la pace sia davvero al centro della politica estera italiana ed europea, chiedendo un reale e deciso impegno per la fine della guerra in Siria e denunciando che «non si può più tacere di fronte allo scandalo della guerra e alla produzione e al traffico di armi».
Altrimenti, «a che cosa servono le istituzioni internazionali se non ascoltano la voce dei dannati della terra e non modificano radicalmente i comportamenti ed i sistemi che portano a guerre e povertà?»