La zona Asia (che riunisce i membri della Comunità Papa Giovanni XXIII che vivono in Bangladesh, Sri Lanka, India, Cina) si è ritrovata il mese scorso sotto il segno della condivisione e della preghiera. Ecco il racconto di chi ha vissuto quei giorni di fraternità e raccoglimento.
«Dal 6 al 12 Febbraio ci siamo ritrovati in Bangladesh per un tempo di preghiera e confronto. Il nostro viaggio è iniziato con la calorosa accoglienza a Dacca di Anita Biswas, la prima bengalese a scegliere la vocazione della Comunità Papa Giovanni XXIII. Anita che ha pazientemente atteso ognuno di noi in arrivo dalla Cina, dallo Sri Lanka e dall’Italia, ci ha “coccolati” con le sue prelibatezze bengalesi e ci ha riaccompagnati tutti all’aeroporto per imbarcarci, insieme a lei, sul volo per Jessore, una cittadina ad ovest del Paese, vicino al confine con l’India. A Jessore siamo stati raggiunti da tre fratelli in periodo di verifica vocazionale (pvv) provenienti dall’India e dagli altri fratelli e sorelle del Bangladesh compresa la nostra responsabile della zona Asia Franca Mencarelli. Nella casa di spiritualità che ci ha ospitati, guidati da don Adamo Affri, abbiamo vissuto tre giorni di ritiro spirituale sul tema “Il pensiero di don Oreste”.
Attraverso la riscoperta del volto del Signore che ogni uomo in modo più o meno consapevole cerca, riflettendo sul mistero della vita di Cristo che ognuno di noi è chiamato a vivere ora laddove è, abbiamo riscoperto la via semplice della fraternità e che le membra più deboli, con le quali ognuno di noi ogni giorno condivide la propria vita, sono le più necessarie. Il nostro è stato un deserto “chiacchiericcio” perché non vedendosi da un anno la voglia di raccontarsi e di vivere la fraternità era tanta.
Il 9 febbraio, nel pomeriggio, scortati dalla polizia, ci siamo trasferiti a Chalna, dove da circa diciotto anni c’è la presenza della Comunità. I fatti di sangue dello scorso luglio, con l’uccisione di alcuni stranieri in un ristorante di Dacca, e prima ancora l’uccisione di alcuni cooperanti sono ancora vivi nella memoria della gente e la paura degli attacchi da parte dei fondamentalisti islamici è ancora palpabile. Per questo motivo precauzionale la polizia locale ha organizzato una scorta per il nostro nutrito gruppo di stranieri. Fino a pochi mesi fa gli stranieri presenti in Bangladesh dovevano comunicare i loro spostamenti per poter essere scortati in sicurezza, tra loro anche molti missionari, la cui fede in Dio non ha fatto però vacillare l’amore per questa terra, per i poveri da loro incontrati e non li ha fatti indietreggiare di fronte alla paura di sentire la propria vita in pericolo.
Dopo poco più di due ore di viaggio in pulmino, dopo aver visto susseguirsi più pattuglie della polizia che facevano da apripista, dopo aver attraversato due fiumi e percorso strade polverose, siamo finalmente giunti al villaggio. Ad attenderci i bambini e ragazzi che vivono nella missione di Chalna, che con tamburi e fiori ci hanno dato il benvenuto e che poi venerdì pomeriggio ci hanno mostrato tutte le loro abilità nella danza e nel canto durante lo spettacolo da loro organizzato. A Chalna i membri di Comunità vivono la loro quotidianità a fianco di molti ragazzi disabili, in una terra, come quelle asiatica, dove la disabilità è ancora un grande tabù. Il tempo vissuto qui a casa, come spesso ci ha ricordato Fiorenzo Di Tonno, membro di Comunità che da diversi anni vive a Chalna, ci ha permesso di cimentare la fraternità e di mettere delle piccole basi per cercare di costruire insieme questa nuova zona, che si trova di fronte diverse nuove sfide dal non avere una lingua comune, all’essere molto distanti sia in senso fisico, ma anche come culture e abitudini, consapevoli che gli strumenti che la Comunità ci offre sono molti e ricchi, ma che vanno incarnati e riadattati in ambiti e situazioni come quelle che si vivono in Asia, con molti chilometri che separano i fratelli delle varie aree.
Franca Mencarelli, la nostra responsabile, fin dal primo momento di confronto ci ha ricordato che la zona si costruisce insieme e ciò è certamente uno sprone per ciascuno di noi a mettersi in gioco con i propri talenti e con una presa di responsabilità, con questa consapevolezza siamo ripartiti mentre nelle orecchie risuonano ancora le voci dei bambini di Chalna, cristiani, indù e musulmani, che ogni sera con il loro entusiasmo ci hanno accompagnati durante il rosario e la messa».
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