Maria Francesca Pricoco è il Presidente del Tribunale dei minori di Catania, istituzione che collabora da tempo con le strutture della Papa Giovanni XXIII in Sicilia.
Come lei stessa racconta, ha avuto anche un rapporto di amicizia con don Oreste. Nei miei confronti si è posto sempre con un atteggiamento di rispetto per il ruolo istituzionale ma anche di incredibile vicinanza sotto il profilo personale ed umano.
Sempre più spesso nella società di oggi sembra che i minori siano l'oggetto di un diritto degli adulti (il diritto a un figlio quando e come lo si vuole, il diritto alla genitorialità per le coppie dello stesso sesso...) e non il soggetto di un diritto...
“Se guardiamo al profilo giuridico devo precisare che, al contrario, la posizione della persona minore di età, progressivamente è stata riconosciuta come una posizione di diritto piena ed il minore è stato considerato un soggetto giuridico autonomo destinatario degli effetti dei provvedimenti che lo riguardano. Il problema e`, invece, culturale e riguarda l’atteggiamento non soltanto dei genitori ma anche della società rispetto alle questioni che riguardano la tutela delle persone minorenni, deboli, vulnerabili, indifese con la conseguenza che, in molti casi, l’indifferenza o l’immaturità degli adulti determina non soltanto scelte inadeguate ma anche ingiuste”.
Lei conosceva bene don Benzi, e conosce bene le case famiglia della Comunità Papa Giovanni. È un modello valido? Replicabile? Andrebbe riconosciuto? E a che livello?
Ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere Don Oreste Benzi che, fin dai primi incontri, ha mostrato non soltanto un interesse verso la funzione della giustizia minorile ed una richiesta esplicita di collaborazione e di costruttivo confronto ma anche una comprensione “affettiva“ al gravoso ruolo del giudice in questa delicata materia. Per il tribunale dei minori di Catania l’approccio con i responsabili delle case famiglia è stato sempre condotto nel rispetto assoluto dei ruoli e con una grande disponibilità alle indicazioni date dal tribunale medesimo, dai servizi sociali e sanitari coinvolti al fine di migliorare la risposta della giustizia.
La Comunità ha sempre attivato, pur con i necessari aggiustamenti, revisioni, con il rilievo di criticità o la proposta di discussione su temi controversi, i dovuti miglioramenti anche per indirizzare in maniera più adeguata gli interventi in favore delle “piccole persone”.
Tutto questo non è facile, ma da noi è avvenuto perché vi è stata apertura reciproca, riconoscimento del bene che ciascuno può apportare e soprattutto una capacità della Comunità di capire, di mettersi molto spesso in discussione, e da parte di entrambi la consapevolezza che, quando si tratta di bambini, bisogna promuovere il cambiamento.
La casa famiglia é uno strumento valido di accoglienza perché consente la flessibilità necessaria per la complessa ed articolata funzione di tutela dei minori.
Purtroppo il nome giuridico di “casa famiglia“ non è presente nella legge. Forse sarebbe opportuna una specificazione legislativa ovvero convenzionale con l’ente pubblico che deve provvedere agli oneri economicità.
Intervista tratto da Mensile Sempre