Quando sono partita per la Georgia lo scorso novembre, non sapevo bene cosa avrei trovato una volta atterrata. Il volontariato era un’esperienza nuova per me, nonostante da molto tempo rientrasse nella lista delle esperienze che avrei volute fare. La Georgia era un paese che conoscevo solo indirettamente, grazie a ciò che avevo letto e studiato e grazie a ciò che amici georgiani mi avevano raccontato. Di sicuro, un Paese che da anni sognavo di visitare.
Quando sono partita, sapevo che durante questo percorso di sei mesi mi sarei principalmente occupata di bambini. Bambini georgiani che purtroppo non avevano avuto una vita facile tanto quanto l’avevo avuta io. Sapevo che avrei vissuto con una parte di questi bambini, nella casa famiglia di Alessandra e Ino, e che ne avrei aiutata un’altra, composta da bambini bisognosi di Batumi, principalmente quelli che vivevano nella baraccopoli situata alla periferia della città.
Quando son partita, pensavo a tutto quello che avrei potuto dare a questi bambini con il mio entusiasmo e la mia energia. A sei mesi di distanza, posso dire che quando son partita, in realtà, sapevo molto poco.
Ogni giorno di questi sei mesi è stato un’avventura. La vita in Georgia segue dei ritmi diversi rispetto a quelli a cui siamo abituati in Italia, più lenti ma più caotici. La famiglia, la tradizione, la religione sicuramente ricoprono un ruolo importante. Non è semplice capire quali siano i codici che regolano i rapporti interpersonali tra le persone e quali siano le modalità migliori per portare un aiuto concreto e utile.
Nonostante il processo di modernizzazione che la Georgia ha intrapreso dopo la caduta dell’Unione Sovietica, questo paese ha ancora molta strada da fare per quanto riguarda le sue politiche sociali e la salvaguardia dei minori. Le istituzioni che dovrebbero occuparsene non sono sufficientemente finanziate e non hanno nemmeno i mezzi legali per farlo. In tal senso, la Comunità Papa Giovanni XXIII da dieci anni contribuisce a creare delle alternative e a dare una possibilità di vita normale ai meno fortunati.
Attualmente la Apg23 ha due case famiglia a Batumi, collabora attivamente con i servizi sociali locali e aiuta le famiglie che risiedono nella più grande baraccopoli della città. Il compito di noi volontari era di aiutare i responsabili del progetto in tutte le attività di gestione della casa famiglia (dal portare a scuola i bambini, al giocare con loro, all’aiutarli a fare i compiti o a preparare il pranzo) e nelle attività che si svolgevano nella baraccopoli, dove ci recavamo tre volte a settimana per insegnare inglese e una per svolgere attività ludico-ricreative.
Insieme abbiamo riso, scherzato, lavorato, pianto, litigato, ci siamo confrontati, abbiamo festeggiato compleanni, abbiamo giocato e siamo cresciuti tutti assieme.
Quando sono partita, non sapevo che in Georgia avrei trovato una seconda famiglia e che tutti questi bambini avrebbero dato a me molto più di quanto io potessi dare a loro. Questi sei mesi sono stati una palestra di vita, che mi ha insegnato cosa siano la condivisione, quella vera, l’impegno, la dedizione ad una causa. Mi ha insegnato cosa significhi veramente mettere la propria vita al servizio degli altri. Mi ha insegnato a giudicare di meno e ad ascoltare di più.
Me ne sono tornata a casa arricchita e piena di ammirazione per chi ha avuto il coraggio di fare questa scelta di vita ed in Georgia non ci è andato per stare solo sei mesi, ma ci è restato.