«Oggi è mancata una bimba bellissima di cinque anni che viveva nel campo vicino al nostro, aveva un gran sorriso e molta voglia di vivere dentro di sé. È mancata per un incidente, cadendo nel pozzo di scolo delle fogne, dopo essere fuggita dalla guerra con sua mamma (nella foto, in braccio a lei), suo papà e i suoi fratelli. Anche lei è una vittima di questa guerra sporca e senza fine. Si chiamava Amal, che significa speranza, la stessa che oggi cerchiamo in fondo ai nostri cuori insieme alla sua famiglia». Così scrivono due giorni fa i volontari dell'Operazione Colomba presenti nei campi profughi ai confini con la Siria. Che la situazione in Libano sia drammatica, l'ha confermato anche Alberto Capannini, uno dei fondatori insieme a don Oreste Benzi del corpo civile nonviolento (che nel 2017 compirà 25 anni) durante un incontro tenutosi alla Capanna di Betlemme di Bologna lo scorso 5 dicembre. L'escalation di violenza si è aggravata alla fine di ottobre a causa degli scontri a Tripoli tra l'esercito libanese e gruppi armati affiliati al Fronte Al-Nusra e all'ISIS. Interi quartieri sono stati evacuati e le violenze hanno colpito anche la zona a nord del Paese, dove vivono i volontari coi profughi. «Libanesi e siriani hanno paura di una nuova guerra –dice Capannini-. I volontari di Operazione Colomba vivono a Tel Abbas in una tenda in un campo profughi e in un garage: una presenza internazionale, nonviolenta e neutrale che, per gli stessi profughi siriani, è fonte di maggiore sicurezza. Attraverso la condivisione quotidiana i volontari favoriscono il collegamento tra i reali bisogni dei profughi e chi può soddisfarli (ONU, Istituzioni...)». In collaborazione con l'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati questo corpo nonviolento di pace tenta nel quotidiano di mediare le tensioni degli abitanti dei campi con la comunità locale libanese, scongiurandone ogni giorno la chiusura.
Ma nonostante le difficoltà, Operazione Colomba non si ferma. Ecco 3 segni di speranza:
1. Davanti alla Commissione Europea Commissione europea, alcune settimane fa, la Comunità Papa Giovanni XXIII ha portato la voce di questi profughi dimenticati. «Il vicepresidente Frans Timmermans - racconta la delegazione - ha accolto con molta simpatia e con molto impegno questa istanza e si è reso disponibile a far arrivare questa proposta anche allo staff di De Mistura e ai delegati speciali dell’Onu per la Siria». I profughi siriani che la Comunità di don Benzi affianca dal 2013 non possono tornare in Siria perché le loro città sono ancora sotto i bombardamenti e il governo non garantirebbe loro nessuna sicurezza, visto che sono stati già incarcerati. Sul modello delle zone umanitarie in Colombia vorrebbero poter tornare nel loro Paese, con la protezione internazionale e vivere pacificamente. Come spiega Capannini infatti l'unica via è la nonviolenza: «Si tratta di opporsi con una forza morale ad una forza fisica. Toccare e risvegliare la coscienza dell'avversario a prezzo della mia sofferenza, accettare che siamo profondamente interconnessi. Può sembrare rischiosa e ingenua questa via, ma non dimentichiamo che in occidente noi siano esperti di guerra, non di pace, investiamo in esercito ed armi e interventi militari. Con i risultati che vediamo: Iraq, Libia, Siria, Afghanistan».Nel frattempo con l'aiuto dei volontari di Operazione Colomba già tre gruppi di profughi per lo più nuclei familiari (che hanno la possibilità di ricongiungersi con parenti in Europa o che hanno al loro interno bambini o donne con problemi sanitari che richiedono un’autentica assistenza), sono arrivati in Italia in questo anno grazie alla Comunità di Sant'Egidio e alla chiesa Valdese, attraverso il sistema dei corridoi umanitari autorizzati dalla Farnesina, integrandosi in alcune comunità cristiane del nord Italia.
2. Lo scorso 10 dicembre, in occasione della Giornata mondiale dei Diritti umani, il sindaco di Cesena Paolo Lucchi e l'Assessore alla Pace Francesca Lucchi hanno consegnato il Premio "Cesena Città per la Pace 2016" proprio ai volontari di Operazione Colomba, presenti in anche in Albania, Colombia e Palestina, per il loro intervento sul campo basato sulla pratica della nonviolenza, dell'equivicinanza e della partecipazione popolare.
3. E le azioni di pace non si fermano mai…. in diverse zone di conflitto Operazione Colomba, solo nello scorso anno, ha potuto sostenere ben 2.240 persone di cui 721 sono bambini.