Il 9 settembre la Casa Madre del Perdono, a Taverna di Monte Colombo (RN), era in festa: 10 anni di attività, 300 detenuti in pena alternativa al carcere che hanno scelto una strada diversa, 20 volontari che seguono passo a passo i "recuperandi", dall'inizio del percorso fino alla fine. In questa Casa la recidiva è bassissima (15%) rispetto alla media nazionale (75%): qui davvero la gente cambia rotta.
Dopo la messa, celebrata da mons. Franscesco Lambiasi vescovo di Rimini, c'è stato uno spazio per le testimonianze (ex detenuti, recuperandi, volontari, amici) che hanno sottolineato quanto sia vero che «L'uomo non è il suo errore», come diceva spesso don Benzi.
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foto di Gabriella Carnevali
«Oggi nella Casa ci sono 15 detenuti in pena alternativa al carcere, in più vivono qui 3 persone con problematiche psichiche o fisiche, che don Oreste chiamava i nostri “angeli crocifissi”» spiega Matteo Giordani, responsabile della casa. Matteo ha conosciuto la Casa più di 7 anni fa e dopo averci vissuto per 3 anni, si è sposato. Non ha dubbi Matteo, ripensando a questi anni alla Casa Madre del Perdono: «Personalmente sento di essere cresciuto insieme ai ragazzi accolti. Ho fatto un cammino con loro e attraverso di loro, perché nelle loro storie ritrovavo alcuni pezzi della mia storia. Quella frase di don Oreste: “Non c’è chi salva e chi è salvato, ma ci si salva insieme” l’ho proprio sperimentata nella mia vita!».
La Casa Madre del Perdono fa parte del progetto CEC (Comunità Educante con i Carcerati), insieme ad altre 6 strutture in Italia e 2 all'estero.
«La società deve essere coinvolta in questo percorso: ecco il primo principio del percorso CEC, di cui la Casa Madre del Perdono è il “prototipo”», spiega Giorgio Pieri, coordinatore del progetto CEC. «E noi la coinvolgiamo attraverso i volontari, che vengono più volte a settimana per incontri personali con i recuperandi. Don Oreste diceva: “Nello sbaglio di uno, c’è lo sbaglio di tutti”, quindi per recuperare uno, ci vuole il coinvolgimento di tutti. Questo “tutti” avviene attraverso i volontari, che sono veri apostoli della carità».
Grazia Sciroli coordina i volontari: «Incontrare questi ragazzi in un momento delicato della loro vita mi aiuta a mettermi in contatto con la mia parte di fragilità, per essere vicina a questa umanità ferita. Come ha detto anche il Papa: perché loro sono in cella e io no? Conoscendo e incontrando loro, prendi contatto con le tue ferite e le tue fragilità e questo ti aiuta a vivere con una consapevolezza diversa». Grazia Sciroli segue anche gli incontri che ogni anno vengono proposti nella Casa Madre del Perdono, che hanno un nome suggestivo: “Università del Perdono”. L’esperienza, partita nel 2012, è nata dall’intuizione del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi, che venendo a visitare la Casa diceva: «Qui tutto parla di perdono, dovrebbe nascere un’università del perdono» e così è stato.
«L’obiettivo è quello di farlo uscire dall’ambito religioso – spiega Grazia -, perché il perdono è qualcosa di cui tutti abbiamo bisogno e non riguarda solo noi cristiani. In questi anni abbiamo invitato psicologi, economisti, suore di clausura, e tanti altri, offrendo percorsi diversi per analizzare il tema del perdono da più punti di vista. I vari contributi confluiscono su questo punto: il perdono ci fa bene e ci fa vivere liberi».
Il 2008 è stato un anno importante, non solo per l’inaugurazione della Casa Madre del Perdono, ma anche per il viaggio in Brasile fatto da Giorgio Pieri insieme a Mauro Cavicchioli, che accoglieva alcuni carcerati nella propria casa famiglia. L’obiettivo era di conoscere da vicino il modello APAC che ha in gestione alcune carceri brasiliane, senza guardie carcerarie. «Di ritorno da quel viaggio io e Mauro abbiamo detto che dovevamo puntare sullo sviluppo delle APAC in Italia – ricorda Pieri – e dopo qualche mese è stata inaugurata la Casa Madre del Perdono». Mauro Cavicchioli oggi è missionario in Camerun, dove ha aperto altre 2 case CEC.