«Mi chiamo Lorenzo, ho 32 anni. Abito a Santarcangelo di Romagna, un bellissimo paese della provincia di Rimini. Sono il terzo di 5 figli, 4 maschi e una femmina. Sono appunto cresciuto in una famiglia numerosa, da genitori che hanno scelto fin da giovani di vivere una vita particolare per quei tempi, ma credo che sia controcorrente anche oggi. Ecco la mia storia, ecco come ho riscoperto la mia fede, grazie alla scoperta che la disabilità ci porta nella profondità del nostro cuore, come desiderio di essere accolti per quello che siamo».
Lorenzo Gasparini, figlio di Flora e Stefano, entrambi membri della Comunità fondata da don Benzi, inizia così a raccontare la propria esperienza di vita. Lorenzo svela come il rapporto con le persone con disabilità abbia cambiato la sua vita e lo fa a Roma durante il convegno formativo dal titolo “La Comunità Generativa: l'accompagnamento della persona con disabilità alla vita cristiana”, organizzato dal 25 al 27 aprile scorso dall’Ufficio Catechistico nazionale della CEI.
«La mia testimonianza parte da loro, Stefano e Flora, 2 ragazzi che si sono conosciuti a 20 anni e hanno deciso di accogliere la proposta o meglio provocazione di un prete di campagna, dalla tonaca lisa, don Oreste Benzi. Affascinati da questa proposta di condividere la vita con gli ultimi, condurre una vita da poveri, vivendo nella fraternità, dando importanza alla preghiera e alla vita comunitaria, aderiscono come membri alla Comunità Papa Giovanni XXIII.
Per un bambino che cresce in un paese come San Mauro Pascoli (prima abitavo lì), famoso in tutto il mondo per essere patria del poeta Giovanni Pascoli e anche il centro dell’alta moda calzaturiera. Questa cosa dell’essere alla moda io l’ho sempre subita: confrontarsi con altri bambini che non vivono quello che vivi tu in famiglia è stato molto difficile da accettare. Mi sono sempre sentito diverso, a volte fuori luogo: i miei genitori mi hanno dato un’impronta e quell’impronta non riuscivo a collocarla in un mondo che non mi faceva sentire accolto. Quindi sono cresciuto forse con delusione, perché non capivo a pieno la scelta dei miei genitori, non capivo perché gli altri potevano avere delle cose e noi no. Non ce le potevamo permettere e molto spesso ci trovavamo ad indossare vestiti di altri, trovati in sacchi fuori casa. Perché non essere come tutte le famiglie? Perché affidarsi alla Provvidenza? Me lo sono chiesto tante volte!
L’incontro con le persone disabili
Nel 1997 i miei genitori decidono di aprire a Cesena un centro diurno per persone con disabilità grave e gravissima. Le mie estati le ho passate a contatto con queste persone. Questa è stata per me l’esperienza che più ha formato la mia persona. Vivere nella diversità. Condividere con naturalezza i limiti di ognuno, in un modo non pietistico, ma di relazione vera, dove ci si prende anche in giro, ma mantenendo il rispetto della persona. Molto lo devo a mia mamma Flora, la mia più grande formatrice. Poi nel 2006 ho deciso di partecipare alla vacanza estiva che il centro proponeva ai suoi ragazzi insieme a tutti gli educatori, trascorrendo una settimana in montagna, a Canazei in Trentino presso l’Albergo Madonna delle Vette. Sarebbe stata una settimana tra le più belle vissute. Il vivere quotidianamente la condivisione diretta. Stupendo. Poi a 19 anni mia mamma mi ha messo alla prova.
Avevo preso da poco la patente e mi ritrovo il giorno prima di partire per Canazei, con mia mamma che mi dice: «Claudio (uno degli educatori del centro) si è rotto la mano. Non viene più a Canazei. Starai tu in camera con Guido e guiderai il pulmino».
Ritrovarsi il giorno prima di partire a chiedermi: "Come sarà guidare un pulmino con 9 persone a carico? E stare in stanza con un tetraplegico? Ma chi me lo fa fare? Sarò all’altezza?". Però accetto e mi affido delle parole di mia mamma: "Tu ce la puoi fare".
I primi 2 giorni sono stati intensissimi: grande difficoltà nel relazionarmi con la disabilità di Guido; stare con lui, per lui, stare al suo tempo che non era il mio. Incontro mia mamma e le dico le mie fatiche. Poi vivo un crollo emotivo, fisico. Lei mi fa riposare un pomeriggio. Riparto. Guido in qualche modo capisce la situazione e mi aiuta. Da quel momento il suo limite non l’ho più sentito. Mi ha dato energia e voglia di vivere, la sua molto più della mia. Ho compreso appieno il valore del dono della vita. Per me Guido diventa un dono, è una testimonianza di vita. Il momento finale della preghiera prima di partire è stato molto intenso: siamo crollati in un pianto incredibile. Guido per me diventa un grande maestro.
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La mia vita continua: scuola, lavoro, sport e teatro
In quel periodo succedono tante cose: smetto di giocare a calcio (giocavo nelle giovanili di una squadra professionistica); decido di iniziare l’università; inizio un progetto di teatro integrato (con Marco Brambini ed Emanuela Frisoni) che durerà (per me) per 7 lunghi anni. Prendo la Laureain Scienze Motorie e inizio a lavorare presso un’associazione sportiva (a.s.d. Ag23) che fa parte de La Fraternità, cooperativa sociale della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ho potuto mettere insieme le mie due passioni: sport e disabilità.
L’esperienza del teatro intanto mi permette di conoscermi nelle mie fragilità e accettarmi per quello che sono. Questo me lo hanno permesso tutte le persone con e senza disabilità che hanno partecipato con me a questo progetto. MI hanno aiutato a scoprirmi.
Inoltre avvio insieme ad altri istruttori dell’AG23 un centro estivo (il FAI CENTRO) con 20 bambini. Vera esperienza di inclusione che ad oggi conta 250 iscritti con progetti di crescita per ogni fascia d’età.
Via di casa: il distacco dalla fede
A 23 anni vado via di casa. E da lì vivo anche un distacco forte con la mia fede. Ho un gruppo di amici dove sono quasi tutti animatori parrocchiali, ma mi stacco dal percorso di fede.
In questo periodo comunque sento la presenza di Dio dentro di me. È come se la mia fede la vivessi nelle relazioni in cui vivo, negli incontri di tutti i giorni, ma senza professarla. Sto bene, vivo una vita normale, lavoro con i bambini, con le persone con disabilità che mi danno tanto.
Un altro incontro fondamentale: Filippo
Con il sostegno di Donatella Cremonese, insieme a Giulia D’Intino decidiamo di fondare una squadra di atletica di ragazzini con disabilità intellettiva. Partiamo con 4 ragazzi. Iniziamo questa avventura da sbarbatelli. I genitori, trasportati da questa ondata di entusiasmo, si fidano di noi. Dopo 7 anni la nostra squadra comprende 18 atleti, siamo diventati un team Special Olympics, dove ricopro il ruolo di coordinatore dei tecnici in Emilia Romagna e abbiamo avviato tanti altri progetti.
Tra gli atleti presenti in squadra di atletica c'è Filippo, un ragazzino di 16 anni che ha tra le tante particolarità quella di avere periodi con forti crisi epilettiche, è stata molto importante per me. Mi è capitato diverse volte di dover intervenire in queste crisi, e mi sono posto davvero tante domande a riguardo, a quanta forza debba avere Filippo nel gestire e accettare questa sua condizione.
La chiamata di Dio per me
Due anni fa ricevo 3 proposte da 3 persone diverse, ma tutte con un punto in comune: entrare in parrocchia come animatore parrocchiale. L’avevo già fatto, ma non ero sicuro del mio percorso. Avevo messo in discussione tanto della mia fede. In quel momento ho sentito forte la mano del Signore: questo è Lui che bussa alla mia porta.
La proposta che sentivo più mia, era quella di inserire Filippo, che vive in un altro paese, nel gruppo parrocchiale delle superiori del mio paese. Questo gli avrebbe permesso di vivere un’esperienza di gruppo, di fede, con i coetanei. È stata la scelta migliore che potessi fare anche per me. Filippo mi ha portato a semplificare temi e argomenti che proponevamo ai ragazzi, dovendo fare mie quei pensieri, quelle parole che venivano dalla Bibbia! Ho riscoperto il fuoco che non volevo sentire dentro di me. Quella luce che c’era ma non volevo vederla, non volendo mettermi in luce, ma piuttosto stare nell’ombra.
La cosa bellissima che ha fatto Filippo in uno dei primi incontri è stata quella di raccontare al gruppo della sua fragilità, si è messo a nudo, raccontando i suoi limiti, spiegando cosa può succedergli e cosa si può fare per aiutarlo. Grande mamma Veronica che ha fatto tutto un percorso per portarlo a fargli vivere anche questa esperienza di testimonianza! Questo suo raccontarsi ha poi innescato nel gruppo un relazionarsi a Filippo in maniera diversa, ma non solo nei suoi confronti, ma anche tra di loro. Come se ci fosse stato una scelta di ascoltarsi maggiormente, con una voglia grande di ascoltarsi e mettersi in ascolto di se stessi. Filippo fa parte del gruppo da 2 anni ed è voluto bene, è riconosciuto e cercato dai compagni.
Voglio ringraziare i miei genitori per non aver mollato davanti alle mie domande, per aver scelto una vita donata, una vita piena. Ringrazio il Signore che attraverso don Oreste Benzi ha smosso cuori come quello dei miei genitori e quello di tante altre persone che scelgono ogni giorno di donarsi agli ultimi, che scelgono di costruire ponti e non barriere.
Le parole di don Simone Franchin, che ho potuto conoscere meglio durante i giorni trascorsi a Roma, mi hanno aiutato tanto nella comprensione del mio percorso, di quanto mi abbia aiutato l’incontro con la disabilità: "Il limite dell’altro, soprattutto quando è evidente, è per me come uno schiaffo! Perché mi fa vedere i miei limiti. Facciamo fatica ad accettare il limite che siamo. Vediamo il limite come disgrazia e ci crea disagio perché abbiamo tanta poca dimestichezza nell’accettazione dei nostri limiti. In realtà il nostro limite è una fragilità, è una qualità dell’uomo. C’è un grande bisogno di accogliere la fragilità che siamo".
La disabilità è il motore che può mettere in discussione le mie lacune. La relazione col diverso da me, chiede continuamente un cambiamento!»