Organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana, in data 20/11/21 si è tenuto a Roma presso l’Hotel Carpegna Palace, il Seminario nazionale per la pastorale delle persone con disabilità. Sono state invitate diverse Associazioni italiane, tra cui l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, aprendo così il dialogo sinodale in merito al desiderio di un cammino di fede nella Chiesa italiana delle persone sorde. Erano collegate in via telematica molte persone sorde e operatori pastorali a livello nazionale. Con l’aiuto della tecnologia, il seminario è stato interamente accessibile grazie ad interpreti in lingua dei segni, sottotitoli con sistema closed caption. Il programma comprendeva una intensa giornata di lavoro, dalle 9.00 alle 16. Si è aperto con un incontro reciproco e di conoscenza, approdando ai primi passi per rendere il cammino proficuo.
Nella prima parte della mattina è intervenuta Suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale delle Persone con Disabilità, con il tema “Dall’inclusione all’appartenenza”. Ognuno ha condiviso le proprie realtà, punti di vista, criticità e prospettive. Durante l’incontro sono intervenuti: Monsignor Roberto Malpelo, Sottosegretario della CEI; Raffaele Cagnazzo, Presidente Nazionale dell’ENS, operatori pastorali sordi e udenti, laici e religiosi. Il contributo della giornata è stato frutto di un lavoro in sinergia che guarda al futuro, in una dimensione sinodale, per una nuova evangelizzazione in una comunità generativa. Ci rammenta Monsignor Malpelo: Gesù dona alla comunità cristiana la sfida di una partecipazione attiva, ricordandoci di “sporcarci le mani” come diceva Don Milani.
Ma è necessario guardare la realtà che ci permette di uscire da noi stessi, è così che la realtà cambia: così noi cambiamo e ci convertiamo lavorando sui pregiudizi e guardando ad ogni persona nel suo complesso, prendendo in considerazione le capacità e andando oltre i propri limiti. Il Vangelo ci dice che le prime comunità cristiane si riconoscevano da come si amavano. Noi, attraverso il Battesimo, riceviamo ognuno un dono specifico. Nella misura in cui siamo capaci di mantenerci in ginocchio, come ci ricordava il nostro caro Don Oreste Benzi, e in sintonia con il Signore, possiamo farci prossimi ai nostri fratelli, fasciando le ferite e versando dell’olio anche a chi è difficile da accompagnare. Vivere da veri credenti, facendosi carico delle fragilità, aiuta a rendere la Chiesa credibile, non limitandosi a dare soluzioni con delle semplici frasi spot del tipo “Baci Perugina”.
Occorre un linguaggio prossimo alle persone, saper ascoltare le domande e le richieste, una buona pratica oggigiorno un po’ trascurata: l’ascolto. Occorre una pastorale che non deleghi, che non abbia paura di condividere, perché se non condivide non si modifica, non genera cambiamento, in un’ottica di reciprocità. Non c’è chi cura o chi è curato, non c’è più chi salva e chi è salvato, ma c’è un dare e un ricevere, in uno scambio generativo. Occorre lasciare l’abito vecchio e indossare l’abito nuovo. La pandemia ci insegna che dobbiamo tornare alla prossimità, che dobbiamo passare dall’io al noi, con un linguaggio d’amore.
La lingua dei segni ne è esempio: in qualche parrocchia si sta facendo il segno della pace in lingua dei segni per le regole di distanziamento. Quindi la lingua dei segni ci insegna che abbattere le barriere è possibile. Dobbiamo tornare all’incontro, all’ascolto, che ci porta al discernimento e ad un’azione concreta, così la pace e la giustizia e la gioia dello Spirito Santo potranno essere tangibili, uscendo dalla logica della pretesa, delle aspettative, accettando l’altro, soprattutto chi è considerato diverso. Questa la mia provocazione.