Sono arrivati questa mattina, 17 maggio, all’aeroporto di Fiumicino 40 profughi provenienti dall’isola greca di Lesbo. Si tratta di famiglie e ragazzi in fuga da Paesi dove sono in corso guerre, violenze o situazioni insostenibili. Due ragazzi, che hanno appena compiuto la maggiore età, saranno accolti in due case famiglia della Papa Giovanni XXIII in provincia di Rimini.
Ettore (nome di fantasia), viene dal Gambia, una striscia di terra africana dove la metà della popolazione è analfabeta, uno dei paesi più poveri e meno sviluppati al mondo. Scappato in cerca di speranza ha attraversato il deserto, passando per il Medio Oriente, arrivando in Turchia e da qui è arrivato in una delle isole greche. Andrea (nome di fantasia) invece viene da Kabul, Afghanistan. Da quando è nato ha sempre vissuto la guerra.
Stefano (nome di fantasia), viene dal Bangladesh. Ha lasciato il suo paese quando aveva 15 anni dopo aver perso tutta la sua famiglia ed essere rimasto solo. Ha viaggiato a piedi, in macchina, in autobus passando per India, Pakistan, Iran e Turchia. Infine è arrivato in una delle isole greche.
«Questi ragazzi sono partiti poco più che bambini dai loro paesi e per anni hanno attraversato paesi, pericoli e soprusi. Adesso nelle case famiglia in cui saranno accolti, dopo un periodo di quarantena, cercheranno il sostegno necessario per ricostruirsi una nuova vita. E' più che un diritto, è una speranza che va protetta», commenta Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Comunità di don Benzi.
Il corridoio umanitario è stato realizzato grazie al protocollo firmato da Comunità di Sant’Egidio e ministero dell’Interno, nonché dalla collaborazione delle autorità greche e il sostegno della Commissione europea. Dal febbraio 2016 ad oggi 3.500 persone sono giunte in modo sicuro e legale, al riparo dai trafficanti di esseri umani, in Italia e altri paesi europei.
Con i corridoi umanitari dalla Grecia si tenta di risolvere la situazione di una parte dei profughi - famiglie con bambini, persone vulnerabili e minori non accompagnati - presenti nell’isola di Lesbo ormai da tempo, in attesa di una collocazione, con condizioni di vita rese ancora più difficili in questi ultimi mesi per gli effetti della pandemia.