È atterrato il 14 novembre 2018 a Roma il corridoio umanitario che ha portato legalmente in Italia 51 profughi in fuga dalle guerre, grazie alla mediazione della Comunità Papa Giovanni XXIII avanzata con il Ministro dell'Interno Matteo Salvini. L'accoglienza di tutti i richiedenti asilo sbarcati sarà a carico della Comunità Papa Giovanni XXIII non appena verrà riconosciuto loro lo status di rifugiati politici, con un iniziale sostegno da parte delle Prefetture. L'associazione di Don Benzi ha messo a disposizione le sue 210 case famiglia in Italia e li accompagnerà fino alla loro piena integrazione (foto di Emanuele Zamboni).
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“Persone vulnerabili, che necessitano di protezione internazionale”. Sono arrivati in 51 in Italia grazie a un #corridoioumanitario organizzato dal @Viminale in collaborazione con @UNHCRItalia. I #migranti saranno accolti nelle #casefamiglia @apg23_org. @Framalaguti di #Radio1 👇 pic.twitter.com/GDO8h15n50
— Rai Radio1 (@Radio1Rai) 14 novembre 2018
In questo caso si è trattata di una evacuazione umanitaria richiesta da Unhcr (l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), analogamente a quanto era successo a dicembre 2018, quando il Ministro Marco Minniti del governo Renzi aveva autorizzato l'arrivo, con un volo militare, di 150 richiedenti asilo. Allora si era fatta carico dell'integrazione la Cei (Conferenza Episcopale Italiana) e ad aspettare i profughi ne era stato presente il Presidente, accanto al ministro, Cardinal Gualtiero Bassetti.
Il Presidente della Comunità Giovanni Paolo Ramonda nell'accogliere i fortunati dell'areoporto militare di Pratica di Mare ha portato un plauso ed un appello alle istituzioni: «La grande scelta operata insieme a questo Governo porti ad una sistematicità dell'accoglienza, che garantisca di non lasciar morire nel mare e nel deserto queste famiglie. Ci sarà una svolta culturale nel paese, in collaborazione con tutte le altre organizzazioni e con il Governo. Dobbiamo stimolare l’Europa perchè si apra all’accoglienza, e perché diventi un’Europa solidale, accogliente, capace di integrare le persone in fuga», ha detto. In effetti 51 persone sono poca cosa rispetto alle centinaia di migliaia di persone che sognano l'Europa ammassate lungo i confini dei paesi del Nord Africa.
Lo stesso Ramonda, nell'annunciare la disponibilità all'accoglienza aveva detto: «Siamo lieti di dare il nostro contributo all'accoglienza di mamme e bambini in fuga dalla Libia. In questo modo sono state protette persone fragili, impedendo loro di fare un pericolosissimo viaggio in mare. Dopo una prima fase, saranno accolte in alcune delle nostre case famiglia dove potranno ricevere il sostegno e l'affetto di una famiglia allargata».
Dal canto suo il Ministro dell'Interno Salvini ha tuonato rivolgendosi alle decine di giornalisti presenti: «Questa è la stada giusta: i profughi buoni che arriveranno in Italia dovranno usare tutti l'aereo». Un messaggio chiaro che può raccordare elettorato e società civile (Vedi la conferenza stampa integrale registrata da Radio Radicale allo sbarco de corridoio umanitario).
Le recenti evacuazioni umanitarie sono organizzate grazie all'iniziativa del Governo Italiano (Renzi prima e Conte poi) in risposta agli appelli dell'Unhcr, organizzazione presente nei campi profughi allestiti iin molte parti del Nord-Africa. A coniare il termine "corridoi umanitari" è stato però il Protocollo d'intesa sottoscritto per la prima volta il 15 dicembre 2015 fra Comunità di Sant'Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e il governo italiano. In questo caso alcune realtà no-profit presenti nei campi profughi della Libia e di alcuni paesi africani (fra cui Operazione Colomba, corpo di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII) hanno selezionato le persone vulnerabili da portare in Italia. Un secondo protocollo per i corridoi umanitari è stato firmato a novembre 2017. Il terzetto di realtà protagoniste dei corridoi umanitari si è fatto carico delle spese del viaggio e dei costi per l'accoglienza del primo periodo; i costi sul lungo periodo e per l'integrazione invece ricadono sulla società civile. Famiglie, singoli cittadini, enti locali in varie parti d'Italia hanno avviato autotassazioni per l'accoglienza dei richiedenti asilo. Il primo protocollo dei corridoi umanitari prevedeva l'ingresso nell'arco di 2 anni di oltre 1.000 persone; altre 1.000 dovrebbero trovare salvezza grazie al secondo, anche se ancora non sono stati concessi dal Governo Conte tutti i visti richiesti.
Negli ultimi cinque anni i volontari di Operazione Colomba hanno vissuto nel campo profughi di Tel Abbas ai confini con la Siria, in Libano, insieme ai bambini, agli anziani, alle mamme e ai papà che sono riusciti a fuggire dalla guerra che sta distruggendo la Siria. Si tratta di Migliaia di persone che aspettano solo la pace, per ritornare finalmente a casa, ma che oggi sono bloccate tra le tende. Per saperne di più: Corridoio umanitario dalla Siria
Italia Oggi ipotizza che lo sbarco dei 51 a Pratica di Mare possa essere in realtà un'operazione del Governo per riavvicinarsi al mondo ecclesiale. In effetti più volte Papa Francesco ha affontato il tema dei corridoi umanitari. «La santità non riguarda solo lo spirito, ma anche i piedi, per andare verso i fratelli, e le mani, per condividere con loro», ha detto alla viglia della Giornata Mondiale del Rifugiato del 20 giugno 2018. Sono parole che invitavano i fedeli non solo ad essere pronti ad accogliere di chi lascia la sua terra “affamato di pane e di giustizia”, ma a fare di più: ad andare incontro, a tendere le mani.
Ognuno può fare la sua parte! Per i richiedenti asilo sbarcati in Italia grazie ai corridoi umanitari si apre una speranza: un viaggio verso un luogo sicuro, dove poter vivere dignitosamente. Non a piedi, non per mare, non con mezzi di fortuna, ma con un aereo che atterra là dove ci sono braccia aperte a ricevere famiglie fragili, bisognose di cure mediche, di scuola e di lavoro, di normalità. I Corridoi Umanitari costituiscono un nuovo modello di accoglienza, per portare in salvo quelle famiglie che non possono rimanere nei campi profughi un minuto di più. Sono persone che verranno guidate e sostenute passo dopo passo nel processo di integrazione.
Per far fronte alle necessità quotidiane, per permettere a queste famiglie di integrarsi, ai papà e alle mamme di provvedere da soli ai loro figli, servono 1.500 euro al mese, 50 al giorno, almeno per i primi tempi.
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Nel 2000 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato che il 18 dicembre di ogni anno fosse indetta la Giornata Internazionale per i diritti dei migranti. E proprio in questa data, il 18 dicembre 2017, una delegazione della Comunità Papa Giovanni XXIII ha dato inizio ad un tavolo di lavoro per coordinare la gestione di un nuovo progetto “Humanitarian Corridors” finanziato dall’Unione Europea. «È un progetto che porteremo avanti in collaborazione con la Comunità di S. Egidio e con i Salesiani» spiega Giovanni Fortugno, responsabile dell’ambito immigrazione nella Comunità Papa Giovanni XXIII, responsabile del coordinamento sbarchi a Reggio Calabria, nonché responsabile per l’immigrazione per la Caritas diocesana. «Il finanziamento dell’Unione Europea ci permetterà di fare sostegno, accompagnamento e advocacy per 1000 persone». Sono coperte insomma le spese per la mediazione linguistica, il sostegno psicologico ed i tirocini formativi, per i profughi che arrivano da Siria ed Etiopia.
Da dove provengono dunque i migranti che potranno beneficiare di questo progetto?
«Circa metà arriveranno dal campo profughi dall’Etiopia, in cui vivono 1 milione persone, di cui 44mila sono minori non accompagnati. L’Etiopia in questo momento sta facendo davvero un grosso lavoro. I rifugiati in questo campo provengono da vari Paesi: Sudan, Eritrea, Somalia, Yemen. Purtroppo i migranti fuggono da situazioni politiche drammatiche, dove c’è la dittatura, oppure da persecuzioni per motivi religiosi. In questo campo profughi è già operativa Caritas Internationalis, che insieme a S. Egidio e i Salesiani, si occuperà di selezionare le persone da mandare in Italia. Come Comunità Papa Giovanni XXIII abbiamo dato la disponibilità ad accogliere alcune persone particolarmente bisognose: sono state liberate dall'ONG Gandhi (associazione che opera al confine tra Egitto e Israele per assistere i rifugiati) dopo mesi di torture dove hanno anche subito un espianto di alcuni organi. L’altra metà arriverà dal campo profughi del Libano, che ospita soprattutto siriani scappati dalla guerra. Alcuni di loro sono già arrivati in Italia nel corso del 2017, grazie ai corridoi umanitari che abbiamo fatto in collaborazione con la Comunità di S. Egidio e la Chiesa Valdese».
Perché è importante questo progetto?
«Perché ci permette di dare una risposta concreta a questo dramma, riprendendo l’indicazione pastorale che Papa Francesco ha dato in occasione del Forum Internazionale “Migrazioni e pace”. Il Papa dice chiaramente che bisogna aprire canali umanitari accessibili e sicuri. E ci ha dato questi 4 verbi come linee guida: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Questa linea pastorale non è solo teorica, ma si sta traducendo in un’azione concreta, grazie alla collaborazione di diversi soggetti ecclesiali: Caritas, CEI, Salesiani, S. Egidio e la Comunità Papa Giovanni XXIII, appunto».
In che modo la Comunità Papa Giovanni XXIII sta affrontando l’emergenza profughi?
«Nelle azioni che la Comunità Papa Giovanni XXIII ha portato avanti c’è stata una particolare attenzione a minori non accompagnati. Infatti a Reggio Calabria è aperta la Casa dell’Annunziata, una struttura di accoglienza per bambini e ragazzi profughi. Non solo li accogliamo, ma cerchiamo di integrarli nel tessuto sociale, mandandoli a scuola, ecc. Anche a Rimini la Apg23 ha aperto uno SPRAR per minori e ci hanno chiesto di aprire realtà simili anche in altri parti del territorio nazionale».
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