Storia di Annalisa, che ha condiviso la vita con il poplo Rom, prima in roulotte nei campi nomadi, poi in missione.
Annalisa (nome di fantasia) ha abitato per 8 anni in quello che era il campo rom di via Portogallo a Rimini; vi arrivò nell'estate del 1993 e rimase a condividere la vita con le loro famiglie, vivendo in una roulotte, fino al gennaio del 2001. Poi dal novembre 2001 è stata per una decina di anni nel sud-est asiatico, nel 2013 in Nepal. Dal 2015 è ritornata al fianco di alcune famiglie in Italia, ed oggi è in attesa di ripartire per la missione. A lei chiediamo di raccontarci la storia della "condivisione diretta con i popoli Rom e Sinto" della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Hai vissuto insieme ai Rom per oltre vent’anni; come è iniziata questa esperienza?
Il primo incontro della Comunità Papa Giovanni XXIII con il popolo Rom e Sinto avvenne a Rimini nell’89, sull’onda dell’entusiasmo dirompente di don Oreste Benzi, il nostro fondatore. Quell'anno un gruppetto di famiglie, appena arrivate dalla ex Jugoslavia, si erano sistemate in un parcheggio dove già sostavano alcuni Sinti. Subito si sollevò la forte reazione della popolazione e dell’amministrazione comunale, per cui in poco tempo il sindaco aveva emanato un decreto di sgombero forzato. Don Oreste era intervenuto personalmente nel prendere le difese delle famiglie Rom, per impedire lo sgombero dall’area occupata. Da quel momento è iniziato un lungo cammino di alcuni membri della Papa Giovanni con i popoli Rom e Sinti; il nostro è stato un percorso irto di ostacoli, incomprensioni e battaglie; eppure ha dato e sta dando buoni frutti.
E cosa avete iniziato a fare?
Ci coinvolgemmo nella mediazione con istituzioni, servizi sociali, comuni, scuole e cooperative per tentare di rimuovere la coltre di paure, pregiudizi e incomprensioni che ostacolavano il rapporto con queste famiglie. Volevamo promuovere dei passi verso l’integrazione sociale e scolastica dei loro bambini, e chiedevamo la regolarizzazione dei documenti per tutti.
A Rimini abbiamo creato nel tempo una rete di interventi che hanno coinvolto le istituzioni civili, diverse altre associazioni ecclesiali (Caritas, Agesci, Rinnovamento nello Spirito) e statali (Enaip). Ognuno ha fatto la sua parte contribuendo con progetti; abbiamo organizzato attività di doposcuola e di animazione, campeggi estivi, gite scolastiche. Abbiamo anche seguito dei percorsi scolastici di prima alfabetizzazione per adolescenti, e di avviamento professionale per l’inserimento degli adulti nelle cooperative. Abbiamo promosso la creazione di borse lavoro.
Nel frattempo, cresceva in noi la convinzione dell’importanza che questo popolo, che non ha una nazione propria, trovasse uno spazio dignitoso per vivere, con un riconoscimento anche legale. Abbiamo seguito l’iter delle leggi che tutelano la presenza dei Rom in Italia, promuovendone il rispetto. Abbiamo cercato di regolarizzare il più possibile le presenze dei Rom in Italia, aiutandoli con i permessi di soggiorno; solo così i nostri amici hanno potuto godere dell'assistenza sanitaria e hanno potuto cercare un lavoro.
Cosa ti hanno insegnato i Rom?
Il legame che è nato con queste famiglie si è consolidato pian piano portando a diverse forme di condivisione di vita con loro: ci sono Rom accolti nelle nostre case famiglia, siamo andati a vivere con loro nei campi nomadi, nelle roulotte; oppure siamo per loro dei ponti con la realtà sociale circostante. La vita condivisa con loro 24 ore su 24 per me è stata una vera palestra; ho imparato ad accogliere la diversità. La cultura Rom non è una minaccia da cui difenderci, ma una risorsa da partecipare agli altri per costruire il bene comune. In questi anni non sono mancati i conflitti, le incomprensioni. Ci sono state anche provocazioni forti, ma queste hanno contribuito a far crescere delle relazioni che oggi sono autentiche e mature.
E dunque qual’è oggi l'approccio?
La mia esperienza con i Rom di Rimini è proseguita fino a quando il campo di via Portogallo ha chiuso: nel 2001 il Comune di Rimini li coinvolse, discutendo ampiamente con loro, in un progetto di redistribuzione sul territorio. Come Comunità rimaniamo al loro fianco rispondendo ai bisogni che di volta in volta emergono: seguiamo l'accoglienza dei bimbi nelle nostre case famiglia, attraverso i servizi sociali, oppure accogliamo i giovani nelle nostre accoglienze per adulti, le capanne di Betlemme. Alcuni giovani che hanno sbagliato sono inseriti in progetti che la Comunità ha attivato in alternativa al carcere. Negli ultimi anni la Papa Giovanni ha sviluppato una nuova modalità: una sorta di ‘condivisione di vicinato’. Si tratta di famiglie intere, con le loro roulotte, che vengono ospitate negli spazi adiacenti alle nostre strutture. Viviamo con i Rom a Rimini, grazie ad uno spazio che è a fianco della capanna di Betlemme nella città romagnola; a Forlì i Rom sono nel Villaggio della gioia, a Bologna in una roulotte posteggiata vicino ad una comunità terapeutica per adulti con problemi di dipendenze.
Vicino a Siena una casa famiglia ha accolto una mamma con i figli, e ospitiamo una famiglia Rom al fianco di un'altra casa famiglia della provincia di Cuneo.
Marco Tassinari
05/05/2016