L’Economia di condivisione è stata al centro di un incontro promosso dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha avuto come ospite Stefano Zamagni e che ha suscitato grande interesse e curiosità per una proposta nata dall’istinto profetico di don Oreste Benzi
La Comunità Papa Giovanni XXIII si è lasciata sempre determinare dai poveri ed ha costruito il modello della società del gratuito, che non è un'utopia, è già in atto in tante forme che appartengono ancora ad una minoranza di persone, gruppi e comunità e di cui si parla ancora troppo poco...
L’incontro con Stefano Zamagni, grande estimatore di don Benzi, ha rinnovato l’appuntamento di Faenza del 2013, quando lui e Paolo Ramonda discussero del rapporto fra “Fede, Economia e Società del Gratuito”
Oggi come allora, Stefano Zamagni ha dichiarato che “in effetti Il modello organizzativo della Comunità papa Giovanni XXIII merita più attenzione di quanto finora ne abbia ricevuto: bisognerà che prima o poi qualcuno si metta a studiarlo, proprio il modello organizzativo perché voi sapete che i principi occorrono per tracciare la via, ma poi occorre l’organizzazione per realizzare l’obiettivo. Tutta l’azione della Comunità è orientata all’altrocentrismo, al ritenere che nel bene di tutti c’è anche il mio bene. Questo è un modo molto concreto di gestione dei beni comuni ed è un modo del tutto innovativo. Infatti, noi oggi sappiamo quali sono i modi di gestione dei beni privati, questo l’abbiamo imparato da tempo. Sappiamo anche come gestire i beni pubblici (che poi non si riesca a causa di fenomeni vari – corruzione ed altro – è un discorso diverso), ma quando arriviamo ai beni comuni, dobbiamo constatare che non c’è ancora una teoria economica adeguata allo scopo; ed è questo il motivo per cui non si riesce a gestirli. Pensate a beni comuni come l’ambiente, l’acqua, l’aria, il suolo, la conoscenza, i beni culturali.
Quello che don Oreste ha capito è che per gestire in modo efficace i beni comuni che sono diversi sia dai beni privati che dai beni pubblici, occorre un modello di governance che ha come base specifica quello che poi nella Comunità Papa Giovanni XXIII di fatto si realizza: tutte le persone della Comunità che si dedicano alla accoglienza, applicano una governance adeguata allo scopo.
Ecco perché occorrerebbe studiare ed approfondire questo modello organizzativo: perché può essere di aiuto a tanti altri. In altre parole, la gestione “comunitaria” non è né la gestione privatistica né la gestione pubblicistica.
Notate che i nostri padri costituenti l’avevano capito quando dopo l’art. 42 della Costituzione hanno introdotto l’art. 43. L’art. 42 è quello che dice che la proprietà è privata o pubblica a seconda dei casi. L’art. 43 introduce il concetto di proprietà comune che non è né privata né pubblica. Però dopo di allora nessun politico ha più richiamato questo concetto. Don Oreste con i suoi amici della Comunità di fatto, lo ha realizzato.
La società del gratuito infatti nasce dal basso, da scelte personali e comunitarie che creano “mondi vitali nuovi” che si diffondono per trapianto vitale.
Tutte le persone che compongono il corpo sociale vengono messe nelle condizioni di partecipare agli altri i propri doni attraverso il lavoro.
Dobbiamo vivere la fraternità per essere società del gratuito: saremmo contraddittori, ridicoli se fossimo divisi o se non sapessimo mettere le nostre originalità in comunione.
Se non si arriva a questa formulazione concreta noi siamo dei teorici che però, con la loro vita, scacciano quello che affermano, perché la paura dell’altro è la malattia peggiore che esista nella società. Quanto più uno si difende, tanto più parla della gratuità, perché deve coprire la sua difesa. Il problema lo risolviamo solo se diventiamo noi un mondo nuovo, quel mondo che è secondo il cuore di tutti gli uomini; lo risolviamo solo se creiamo una nuova umanità, quella che Cristo ha portato, basata sull’amore veramente gratuito.
Don Oreste Benzi ha anticipato 30 anni fa quello che è il cuore dell’enciclica Laudato Si di Papa Francesco, quello che oggi è il cuore dell’Economia di condivisione:“Oggi più che mai tutto è intimamente connesso e la salvaguardia dell’ambiente non può essere disgiunta dalla giustizia verso i poveri e dalla soluzione dei problemi strutturali dell’economia mondiale”
Così il prof Zamagni ha sottolineato il “fiuto” di don Oreste Benzi per l’Economia, benché fosse un “povero prete di campagna”, la sua capacità di puntare tutto sulla Fraternità, un ingrediente che conduce l’Economia ad un approccio nuovo, quello della Reciprocità.
È il senso dell’invito che Papa Francesco ha fatto ai giovani imprenditori e changemakers per Economy of Francesco, perché i giovani sono portatori di interesse per il futuro del mondo ed hanno grandi motivazioni di cambiamento. Ed è la missione specifica che avranno i 17 giovani della Comunità Papa Giovanni XXIII che andranno ad Assisi nel novembre 2020 e che hanno preparato un “manifesto” dell’Economia di condivisione con 10 proposte per il cambiamento dei paradigmi dell’Economia.
Proprio i giovani sono oggi vittime di un sistema manipolatorio messo in campo dagli adulti che detengono il potere economico e dalle multinazionali della finanza. LA ricetta, secondo Zamagni è che «Dobbiamo rispolverare la categoria della felicità. Il modello attuale aumenta l’utilità ma diminuisce la felicità che, come diceva già Aristotele, risiede nelle relazioni interpersonali. La povertà evangelica non è tanto la privazione dai beni ma il distacco da essi, che devono rimanere un mezzo e non un fine. Il fine è la felicità»
Tanto Stefano Zamagni che Paolo Ramonda, hanno voluto sottolineare in questa direzione l’importanza delle esperienze giovanili di Servizio Civile, perché lì i giovani sperimentano come nelle relazioni umane autentiche, nella condivisione con gli ultimi, la vita sia più soddisfacente. È la vita insieme al povero che cambia per sempre la prospettiva di vita per i giovani.
Giovanni Ramonda, presidente della Comunità, ha anche sottolineato come l’economia di condivisione possa essere una risposta per questo momento storico, puntando ad un sistema economico che metta al centro la dignità dell’uomo, di ogni uomo e la cura del pianeta, una vera e propria “rivoluzione della condivisione”, in cui i più fragili sono messi al centro di una comunità, di un popolo, e ne segnano il cammino.
Nei suoi 50 anni di vita, la Comunità Papa Giovanni XXIII ha sviluppato forme di condivisione che sono diventati modelli economici e modalità di partecipazione alla vita dei territori in cui la Comunità opera, in Italia ed all’Estero, a partire dalla gestione del denaro come amministratori e l'amministrazione comune, dal contrasto della fame nel mondo, dalle battaglie contro lo spreco, dalla scelta della Pace e dalla presenza di pace nelle zone di conflitto, dall’educazione alla condivisione, dal recupero della dignità della persona nelle realtà di accoglienza e nelle cooperative di lavoro, dalle forme innovative di impresa nelle terre di missione, nei paesi poveri del pianeta, dal contaminare i luoghi della professione, dell’economia, della politica.
Il Papa Benedetto XVI, nella Caritas in Veritate alla fine del paragrafo 36 dice: “La grande sfida che abbiamo davanti a noi, fatta emergere dalle problematiche dello sviluppo in questo tempo di globalizzazione e resa ancor più esigente dalla crisi economico-finanziaria, è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell'etica sociale, quali la trasparenza, l'onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un'esigenza dell'uomo nel momento attuale, ma anche un'esigenza della stessa ragione economica. Si tratta di un’ esigenza ad un tempo della carità e della verità.”
Ed è per questo che dobbiamo chiedere allo Stato nella redistribuzione delle risorse principi di solidarietà e condivisione, uguaglianza, valorizzazione i talenti di ognuno, e soprattutto prestare grande attenzione a sostenere le famiglie , quelle numerose, quelle con figli disabili, con malati di mente, anziani, che decidono di tenerli presso la famiglia.
Anche come consumatori, dobbiamo essere critici ma non a parole o negli ideali, ma nei fatti, perché abbiamo ampi margini di potere d’acquisto, e soprattutto abbiamo la possibilità di vivere la sobrietà, che ci fa vivere la vita da poveri e ci fa anche inquinare di meno l’ambiente. La valutazione di prodotti tenendo conto non solo del prezzo ma anche dell’esistenza di corrette condizioni di lavoro nelle imprese, del grado di tutela assicurato per l’ambiente naturale che lo circonda.
È questo il tempo delle scelte, della responsabilità, della comunità, dell’agire insieme, come popolo. È la scelta della fraternità, della cura delle relazioni, dell’incarnazione delle buone prassi, adottando un’economia spicciola e feriale, di aiuto reciproco, che dà successo nella complessa sfida educativa e nella costruzione della società del gratuito. “ chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto”.
La nostra lotta alla povertà nasce nell’opzione preferenziale per i poveri della nostra comunità. Nessuno ha le mani pulite davanti ai poveri e tutti siamo veramente responsabili di tutti. La nostra presenza in terra di missione vuole vedere i poveri non come un problema, ma come a coloro che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo. Popoli che hanno tanto da insegnare, con un’esperienza che una ricchezza per tutta l’umanità. Pensiamo ai popoli africani, dell’america latina, dell’asia, dell’europa dell’est.
La salvaguardia dell’ambiente perché sia sano e sicuro, richiede un’educazione ambientale rispettoso del riciclo, della raccolta differenziata, dell’identificare nuove fonti energetiche, alternative, come stiamo facendo anche in comunità con la società che si è costituita con fratelli e sorelle sensibili a questo aspetto così importante . l’attuale crisi ambientale colpisce particolarmente i più poveri, sia perché vivono in quelle terre che sono soggette all’erosione e alla desertificazione, o coinvolti in conflitti armati o costretti a migrazioni forzate, sia perché non dispongono dei mezzi economici e tecnologici per proteggersi dalle calamità. Pensiamo a chi vive negli slums, bidonvilles, barrios, favelas.
L’Economia di condivisione, questo “avere in comune”, questo “dividere con”, vivendo la propria vita insieme alle persone più emarginate, combattendo le ingiustizie e le distorsioni della società, ci spinge a non sprecare nessuna risorsa, superando i semplici obiettivi del guadagno e del risparmio per mettere al centro la creazione di legami autentici. Ogni persona, ogni esperienza, anche quelle più negative e dolorose, fanno parte della condizione umana e da queste si impara e si può ricostruire.
L’obiettivo è cambiare l’attuale economia e dare un’anima a quella di domani. «Un’economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda» (Papa Francesco).