Mi chiamo Alessandro, ho trent’anni, un passato molto difficile caratterizzato da tanti inciampi ed errori, ma da altrettante rialzate.
Una cosa, da che ho memoria, è dentro di me come desiderio indissolubile, quasi egoistico: essere strumento di Dio per diventare padre, per generare la vita.
Ricordo una sera di primavera, nell'entroterra siciliano, in cui la mia vita cambiò radicalmente condizionando, purtroppo, ancor ora le mie scelte.
Angelica
Alcuni anni fa conobbi una ragazza, Angelica, stupenda nella sua estrema fragilità, di cui mi innamorai. Ci frequentammo e la nostra relazione diventò profonda ed intima. Sicuramente eravamo entrambi immaturi, persone ferite nella nostra anima, e cercavamo di suggellare questo nostro amore con un figlio. Fu proprio lei a chiedermelo, e naturalmente incontrò il mio consenso perché avevo anch’io lo stesso desiderio.
Dopo circa due mesi mi disse che era incinta. Il mio cuore ebbe un’esplosione forte di gioia. L’indomani mattina andai a lavorare: il posto, il lavoro era sempre lo stesso, ma la consapevolezza che da quel momento dalle mie azioni dipendeva un’altra vita mi diede una forza tale che mi sembrava di avere il mondo in mano. Accarezzavo la pancia della mia ragazza con amore.
Per motivi di lavoro la mia famiglia si dovette trasferire al nord e così anch'io. Lavoravo come benzinaio nella speranza di mettere da parte qualche soldo per prendere un appartamentino dove sarebbe venuta a vivere la mia compagna e il nostro bambino.
La telefonata
Erano passati un paio di mesi quando ricevetti una telefonata da Angelica che, senza darmi spiegazioni, mi disse di andare subito da lei che si trovava in ospedale. Preoccupato per la salute sua e del bambino, lasciai subito il lavoro e scesi in Sicilia correndo all'ospedale del nostro paese.
Quando arrivai vidi lei uscire dalla sala operatoria con le guance rosse e uno strano sorriso. Capii subito, o forse non mi resi realmente conto e rimasi in silenzio.
La portai a casa dai suoi genitori. Quando fummo da soli in camera e lei si riprese dall'anestesia, iniziarono a scendere le lacrime, quelle silenziose che straziano, graffiano in profondità il cuore e non trovi neanche la forza di dire o fare più nulla, se non rimanere abbracciati nello stesso dolore. Ma dentro di me qualcosa di irreversibile scattò… Era ed è un omicidio, e se poi io, in quanto persona fisica e di volontà non partecipai a tale atto riprovevole, mi sentivo corresponsabile, ed è un senso di colpa che ancora ora nelle notti buie dell'anima, o quando incontro lo sguardo puro di un bambino, mi pervade e non mi lascia respirare.
Un dolore straziante
Seppur amavo quella ragazza e sapevo che i suoi genitori l'avevano condizionata, non riuscii più a fidarmi di lei... Trovai un lavoro lì, in un autolavaggio, e cercavo di stare lontano da lei il più possibile anche se non avevo il coraggio di lasciarla, o forse solo per la paura di solitudine, ma poi ci lasciammo. Iniziò il mio declino nella solitudine che mi portò a uccidere la mia anima con la tossicodipendenza, anche per non sentire il dolore della scomparsa di mio figlio, oltre alle ferite mie precedenti, mai elaborate.
Ora, a distanza di cinque anni, sto meglio, ho di nuovo il controllo della mia vita e la consapevolezza che il Signore è davanti a me in ogni gesto che compio.
La mia ex-ragazza sta bene ed è fidanzata con un bravo ragazzo.
Sembra una storia a lieto fine, ma non è del tutto così, purtroppo… Io piango e non me ne vergogno, so che mio figlio è nella miglior “Famiglia” che si possa desiderare, ma mi manca da morire, come un figlio lontano può mancare a un padre.
Spesso è un dolore straziante che scelgo ogni giorno di convertire in amore per il prossimo, per coloro che hanno veramente bisogno.
Non siete sole
Tutt'ora sto svolgendo il servizio civile in terra di missione e, seppur con mille difficoltà, sono felice.
Quello che mi lascia questa esperienza, oltre alla paura di diventare ancora padre e di fidarmi, è un profondo rispetto per tutto ciò che è vita, e chiedo alle mamme che hanno intenzione di abortire di riflettere anche sulla grande sofferenza che vivrà il padre, anche se non lo dimostra perché troppo orgoglioso per ammetterlo a sé stesso.
E vorrei dire loro: la cosa più importante, quando vi prende la paura di generare e dare alla luce la vita, è che non siete sole… Potete trovare persone pronte ad aiutarvi, per tutto quello di cui c'è bisogno, amorevolmente, senza giudicarvi. Tutto è possibile quando lo si vuole veramente.
Il vostro bimbo nel grembo non può tendere la mano, fatelo voi, vi prego!
Alessandro