La Comunità Papa Giovanni XXIII, in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, organizza a Rimini l'evento "Fiori sull'Asfalto: prostituzione, violenza di genere."
«In una data significativa come il 25 novembre è fondamentale ricordare che tutte le ragazze che incontriamo sulle strade sono vittime di violenza di genere — dice Silvia Argenti, referente delle Unità di Strada contro la tratta dell'associazione riminese —. Come diceva don Oreste Benzi, tutte le donne in strada sono vittime di qualcuno o di qualcosa: non è il mestiere più antico del mondo, ma la schiavitù più antica del mondo. Tutte le bambine, ragazze e donne che incontriamo hanno diritto di riprendere in mano la loro dignità; è nostro dovere avere uno sguardo di vita su loro».
«La violenza che queste donne subiscono – continua Argenti - è la chiara espressione di una disparità di potere tra i sessi e di una pretesa di controllo da parte maschile sul corpo femminile, e uno squilibrio di potere in una relazione non paritaria non può esprimere nessuna libertà».
La Comunità Papa Giovanni XXIII promuove, insieme ad un cartello di associazioni, il Progetto Miriam per la sensibilizzazione contro la violenza di genere sulle donne migranti, che si concluderà il 30 novembre a Bologna, e la Campagna Questo è il mio Corpo, per la liberazione delle vittime della tratta e della prostituzione. La campagna chiede al Parlamento di adottare una legge, ispirata al modello nordico, che riconosca la responsabilità dei clienti.
Così Beatrice Mizzotti, 22 anni, in un affollato Cinema Tiberio il 24 febbraio durante l'evento "Fiori sull'asfalto":
Mi hanno chiesto di raccontarvi cosa sia per me l’esperienza dell’unità di strada ma la verità è che qualsiasi mia parola rischierebbe di essere riduttiva... comunque ci provo.
Ho iniziato ad uscire in strada nel 2018, ormai quattro anni fa, in una notte molto simile a questa, in cui era stata data la possibilità ad alcuni giovani di avvicinarsi a questa realtà. Ero alla ricerca di un’esperienza forte, che potesse scuotermi dalla monotonia delle serate che si vivono a vent’anni e da quel momento l’unità di strada è per me diventata una scelta.
Scelta è, dunque, la prima parola che accosterei a questa esperienza per definirla. Ogni giovedì, ciascun volontario sceglie se uscire in strada oppure no, dipendentemente dalla stanchezza della propria giornata, ma non è questa la scelta di cui vi sto parlando; ciò a cui faccio riferimento è qualcosa di più profondo e permanente che ti costringe a non essere più disinteressato una volta che hai visto e ascoltato. Scegliere di non essere più indifferente di fronte a questa ingiustizia è ciò di cui vi parlo ed è quello che vivo non solo il giovedì sera ma ogni giorno della settimana, nei contesti più disparati, cercando di dar voce, nel mio piccolo, a chi da solo purtroppo non riesce a farsi sentire.
L’unità di strada poi è amicizia, sincera e incondizionata. Siamo un gruppo in costante evoluzione, sempre pronto ad accogliere chiunque voglia provare a farne parte e a condividere ciò che siamo, prima tra di noi e poi soprattutto con le ragazze. Siamo un gruppo che cammina insieme e che, come tale, a volte si scontra per incontrarsi, scegliendo sempre di abbracciarsi prima della fine della serata. L’unità di strada è preziosa perché è portata avanti insieme e questo è profondamente positivo per le ragazze che incontriamo perché se noi funzioniamo come gruppo loro di conseguenza lo percepiscono, sentendosi parte integrante di qualcosa di enorme. Essere un gruppo significa poi avere la consapevolezza che se tu non ci sei, c’è qualcuno che sceglie di esserci anche per te.
Fare unità di strada è quindi, per me, scelta, amicizia ma anche scomodità. È la scomodità delle ore passate in piedi al freddo e della sveglia che il venerdì suona sempre troppo presto. Ma soprattutto, per me, è la scomodità di quelle ore passate nel letto, finita la strada, a girare e rigirarsi alla ricerca di risposte che nessuno mai riuscirà a trovare. Da quella prima notte passata in strada, quattro anni fa, ho sentito nascere in me una certa sensazione di scomodità nell’addormentarmi tra tutti i miei privilegi e un profondo desiderio di giustizia; così decisi di mettermi a servizio di chi, dalla vita, non aveva ricevuto nessuno dei miei privilegi eppure sorrideva lo stesso.
L’unità di strada è poi assolutamente relazione. Ciò che offriamo alle ragazze è un’amicizia sana, sincera, pura... capace di andare oltre alle apparenze, oltre a ciò che scelgono di mostrare. È un’amicizia che scava nel profondo, che guarda dritto negli occhi e che, soprattutto, si ricorda di chiedere il permesso prima di entrare. Quando si fa unità di strada è bene sempre tenere a mente che stiamo andando a cercare persone che non hanno chiesto a nessuno di essere cercate, per cui è necessario saper rispettare anche i no, le porte chiuse in faccia, gli sguardi indifferenti... nella speranza granitica che, perseverando rispettosamente nell’amore, quella porta chiusa in faccia prima o poi diventi uno spiraglio.
L’esperienza dell’unità di strada non è, quindi, sempre rosea. È più spesso attesa.
È per me scelta, amicizia, scomodità e relazione.
Ma è per ogni risata scoppiata in strada e per ogni lacrima scesa con loro, che noi volontari scegliamo, quotidianamente, di sognare un mondo in cui nessuna persona debba più essere costretta, dalle esperienze più disparate di vita, ad attribuire al proprio corpo un valore perché l’unicità di un’anima che respira non può avere un prezzo attaccato e di questo ne sono convinta.