L'Anno Giubilare della Misericordia volge ormai al termine, e la mattina del 6 novembre Papa Francesco ha celebrato la S. Messa per il Giubileo dei Carcerati. Anche la Comunità Papa Giovanni XXIII ha partecipato a questo evento con una rappresentanza di detenuti che scontano una pena alternativa al carcere.
Di seguito potete leggere una lettera speciale: era stata pensata come una testimonianza da leggere durante l’incontro col Papa, che per motivi organizzativi non è stato fatto. La scrive Antonio Bacassino, membro della Comunità Papa Giovanni, attualmente missionario a Bagdad, in Iraq.
La lunga strada dell'espiazione
Salve sono Antonio,
un quasi 50enne, che ha trascorso vent'anni della sua vita in carcere e ancor di più nel delinquere, per reati quali rapine, mancato omicidio, omicidio, ecc.
La “via” della devianza sopperiva apparentemente a tutti i vuoti che mi rodevano dentro, come l'assenza di figure forti, importanti all’interno del nucleo familiare. Questa privazione mi portava a cercare fuori, “per la strada”, era l'unica cosa che riusciva a colmare la rabbia, l’insoddisfazione che provavo.
Ho sempre avvertito l’esigenza di comprendere il perché la mia vita fosse andata così. Durante il periodo della lunga detenzione dal 1984 al 1986, dal 1987 ininterrottamente fino al 2006, mi sono perfino iscritto alla facoltà di Pedagogia, sperando di trovare risposte, ma non ne ho trovate di soddisfacenti. Scontata la pena, avevo trentasette anni, laureato, ma allo sbando – sarei disonesto dire che non mi siano state offerte opportunità – ,purtroppo, troppo attratto da quella cultura da strada, anzi subcultura che era il mio credo, il mio punto fermo.
Verso i 38, 40 anni la perdita di una persona cara e le sue parole, che ancora mi rimbombano in testa, mi fecero assaporare, e forse per la prima volta guardare, alla mia vera famiglia con altri occhi. Non ne vado certo fiero, ma fino a quel momento alla vita umana altrui e mia, non avevo mai dato alcun tipo di valore. Iniziava in me un minimo di coscienza. Da adulto conobbi la droga in prima persona, l’unica cosa che mi concedesse apparente sollievo a quei vuoti, ma non c'erano ancora rimorsi, quelli arriveranno più avanti.
Conosco la Comunità Terapeutica della Comunità Papa Giovanni XXIII e scopro un altro mondo opposto al mio, che nemmeno pensavo potesse esistere. Aiutato, riesco a trovare delle risposte. Un pretino, a cui non finirò mai di dire grazie, mi aiutò a prender atto del male causato. Era doloroso il prender coscienza dei propri fallimenti come essere umano: la mia autostima era meno di zero. Un giorno il sacerdote mi gridò in faccia, senza mezzi termini: «Non spetta a te giudicarti». Il Cristo che non conoscevo iniziava a incuriosirmi, avevo bisogno di capire. Provai a conoscerlo e a pregarlo affinché mi concedesse la grazia di un po’ di pace e serenità. Chiesi di fare un'esperienza in terra di missione da volontario: ero conscio che il dolore che mi portavo dentro era pazzesco e che per provare a placarlo avevo bisogno di esperienze altrettanto forti, ma positive. Finii ad Haiti. Iniziai con il vivere l’esperienza di missione per espiare e mi ci vorrà qualche anno per prendere consapevolezza, che cosi prevale il proprio io, l'egoismo. Paghi …ma non ami.
Imparare ad amare e amarmi, a volermi bene è stato il passo più ostico. Non ci sono ancora riuscito in pieno, ma spero di essere sulla buona strada. Ora sono 15 mesi che mi trovo come volontario a Baghdad. Sempre in ricerca, mi chiedo se sto imparando a conoscerlo e amarlo, fino a che punto? Spero di sì. Sto imparando a non dimenticare mai che Lui mi è accanto. Ad accettarmi per come sono e a prender sempre più maggior consapevolezza che Lui mi ama e senza di Lui son niente.
Mi par d'iniziare a intravedere che quella grazia di un po' di pace e serenità, che tante volte ho chiesto di concedermi, per certi aspetti inizi a prender forma. Che posto strano per trovarla.
Baghdad /06/09/2016