Ogni anno per un centinaio di ragazzi vittime della dipendenza dall'alcool, dalla droga o dal gioco d'azzardo si celebra un miracolo. È il miracolo della rinascita. Il miracolo di chi ha vissuto il martirio di una esistenza fatta di ferite nascoste, lacerate e sanguinanti, di incontri camuffati d'amicizia, confusi da sostanze.
È il giorno del riconoscimento del cammino compiuto da chi ha fatto tesoro di ciò che è stato, compresi gli sbagli, per ritrovarsi come persona nuova. Di chi ha smesso d'indossare ciò che non gli appartiene, per essere veramente ciò che vuole essere.
Questo miracolo si avvera dal 1983 il 26 dicembre, giorno in cui la Chiesa celebra Santo Stefano. Anche quest'anno appuntamento a Rimini.
La celebrazione della scorsa edizione era stata presieduta da Mons. Edoardo Menichelli, vescovo di Ancona, alla parrocchia della Resurrezione di Rimini, che per trent'anni ha avuto don Oreste Benzi come parrocco. Ed è stato proprio lui a «pensare e a volere la Festa del riconoscimento come momento in cui viene riconosciuto il termine del percorso terapeutico e l'impegno a vivere la propria vita secondo i valori sperimentati in comunità» ricorda Giovanni Salina, responsabile delle Comunità Terapeutiche della Comunità Papa Giovanni. Ad oggi sono stati “riconosciuti” migliaia di ragazzi. Nel 2016 a terminare il programma terapeutico sono stati in 115, provenienti dalle Comunità terapeutiche presenti in Italia e all'estero (Croazia, Albania, Argentina, Brasile, Bolivia e Cile).
Molti dei ragazzi protagonisti del riconoscimento raccontano di un viaggio che è iniziato da una sofferenza, da un vuoto, che è costato fatica e dolore per ritrovare la dignità perduta. Parlano di voglia di rimettersi in gioco, senza stupefacenti, senza ipocrisia. Ottimo spunto per un tema scolastico!
Ludovica, 27 anni da Napoli, è una di questi. Oggi sta studiando Scienze dell'Educazione all'Università, per diventare un'operatrice di Comunità, dove intanto fa la volontaria. «La droga è subdola, e si prende tutto, senza renderti conto che in realtà ti sta risucchiando, levando quei valori, quella dignità e quel rispetto per te stessa fondamentali per stare a questo mondo».
Il suo viaggio nella «non vita» dura 10 anni. Si sentiva non voluta dai suoi genitori, «mi ero convinta di essere stata uno sbaglio, uno grande!». Una zavorra da portare che la rende insicura e instabile, con una personalità che fatica «a reggere i duri colpi della vita adolescenziale!». Nella strada trova una seconda famiglia: «Credevo di sentirmi libera con i miei amici estranei! Così libera da poter essere finalmente chi volevo, senza sentirmi sbagliata. Eravamo tutti cuccioli abbandonati alla fine!».
A dodici anni le prime canne «le mie più fedeli alleate, le mie amiche, quelle che mi sostenevano quando ero giù, che mi scioglievano l’ansia quando ero in mezzo agli altri, che mi facevano sentire “figa” in un gruppo appena conosciuto, tenendo lontani tutti i pensieri». Conosce la cocaina e l’eroina, che l'allontanano sempre più dagli affetti, illudendola di non aver bisogno di nessuno. Toccando il fondo, capisce che era arrivato il momento di chiedere aiuto. In comunità ha finalmente ricomposto il puzzle della sua vita. «Sono tornata ad essere me stessa, finalmente senza falsi sostegni, piena di vita e di persone, di incontri e di gioie, di dolori e di emozioni vere, perché le sento tutte, e a testa alta, insieme alla gioia di poterle dividere col prossimo, vado avanti, facendo finalmente tesoro di quella che sono stata e con la voglia di scoprire chi sarò!».
«C’è un momento nella vita, in cui bisogna spogliarsi completamente, anche della propria pelle. È un momento molto doloroso. È imbarazzante. Io l’ho vissuto. Lembo dopo lembo, lacrima dopo lacrima, con fiducia e premura, alcune persone hanno deciso di aiutare chi come me, era avvolto ormai solo nell’angoscia». È così che racconta quanto ha vissuto Francesco, originario della Toscana, che nel 2013, decide di intraprendere il cammino di recupero dalla tossicodipendenza che oggi, a 24 anni, è ad un passo dall'essere terminato.
Tutto ha inizio il giorno del suo quindicesimo compleanno. Il passaggio di uno spinello fumato in compagnia fuori da occhi indiscreti. «Una fetta di realtà era stata ritagliata appositamente per noi. Stavo bene, stavamo bene», racconta. Gli eventi scatenanti che portano all’abuso di sostanze stupefacenti sono molteplici ma è sicuro che «passano tutti attraverso il rifiuto della realtà propria e di ciò che ci circonda. Una persona serena nella realtà in cui è immersa, non ha alcun bisogno di distorcerla. La droga è una reazione».
Nel giro di pochi anni dallo spinello passa all'uso di sostanze sempre più nocive, fino a trovarsi immerso nella cocaina. «È vero, non sempre le sostanze hanno uno sviluppo progressivo, il “passare ad altro” non è una costante, ma fidatevi della mia esperienza personale, accade veramente spesso. A me è accaduto. Quando mi sono reso conto che ero a un passo dalla morte, non mi sono spaventato poi così tanto, ho avuto più paura quando mi sono reso conto di essere rimasto solo».
Ha ripreso gli studi e lavorato molto su di sé in questi anni. «Spesso mi guardano come un alieno, alcuni non mi riconoscono e mi dicono: “come sei cambiato!”. Balle! Non sono cambiato, non sono un altro, sono me; solamente che prima non ero in me. Ora cammino, a volte zoppico, ma non temo… perché oggi c’è il sole a illuminare i miei passi».
La Comunità Papa Giovanni XXIII ha attivato il numero unico per le richieste di aiuto, 348.9191006
Risponde al numero 0541.50234
Risponde al numero 0543.799278
Risponde al numero 02.9061106