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In Bangladesh, dopo la strage

«Non ho parole. È stata una mazzata incredibile, un colpo fortissimo per tutti, stranieri e bengalesi». Così parla una nostra fonte in Bangladesh (anonima per motivi di sicurezza), dopo la strage di Dhaka. «Che mettessero una bomba in un locale, me lo potevo anche aspettare, anzi anch’io qualche volta, quando vado in giro me l’aspetto… ma una notte di torture, no… è inconcepibile. All’inizio si parlava di un attacco di protesta contro il governo, poi invece è emerso un altro scenario. Questa gente ha come obiettivo le minoranze e gli stranieri, attaccano i sacerdoti cristiani ma anche quelli indù. Adesso vedremo cosa farà il governo. Di certo dopo questo episodio aumenta il senso di paura e ho sentito già qualcuno che vuole rientrare in Italia, sicuramente per un periodo lungo, e poi non sa se tornerà qui. Chi resta vuole più sicurezza».

La Comunità Papa Giovanni XXIII è presente in Bangladesh dal ’99 e fin da subito si è messa a fianco dei più poveri ed emarginati, mai guardando la religione, ma solo la dignità e il bisogno di ognuno. Dopo l’uccisione di Cesare Tavella, cooperante a Dhaka, avvenuta lo scorso settembre, alcuni missionari stranieri presenti nel Paese sono stati messi sotto scorta dal governo bengalese. 

George Kocherry, nunzio apostolico a Dhaka, dice in un’intervista a tg2000: «Viviamo in una situazione preoccupante. Abbiamo paura ma affidiamo tutto nelle mani di Dio. La nunziatura e tutta la Chiesa del Bangladesh manifesta un grande dolore per la morte degli italiani».

Mons. Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka, commenta: «Pensando alle loro vite ci siamo detti che il sangue versato non è mai invano. Io sono anche in contatto con gli altri leader religiosi, inclusi i leader della grande comunità islamica, abbiamo concordato che siamo una mente sola, non importa a che religione apparteniamo, affermiamo che uccidere non è mai una soluzione».

Nello sconforto e nell’incertezza generale, emergono alcuni segni di speranza, come testimonia la nostra fonte: «Un medico bengalese che collabora con alcune suore italiane è andato a casa loro e ha chiesto perdono per questo fatto tremendo. Lui è musulmano e ha voluto chiedere perdono. Questo mi ha dato speranza».

Leggi un approfondimento della Radio Vaticana

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Chiara Bonetto
07/07/2016
TAG: Asia

 

 

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