Ora di cena. Un forte boato, 3, 4 secondi appena. La fuga in cortile, poi le urla, il panico. Nella notte, nel paesino di Forio a sud-ovest dell’isola di Ischia, hanno preferito dormire sulle brandine, nel salone della sala da pranzo, gli operatori e gli accolti della Comunità terapeutica per vittime delle dipendenze intitolata a Don Oreste Benzi. La casetta stà ad una decina di chilometri dall’epicentro del terremoto.
Il giorno dopo, i 6 ragazzi in percorso contano i danni (pochi) e si rimboccano le maniche. Alla Protezione civile segnalano subito la disponibilità per 7-8 posti letto, allestiti all’interno della piccola struttura di recupero. Ed è così che poche ore dopo arriva, accolto da operatori e ragazzi, J., 1 anno di vita. L'appartamento in cui viveva in affitto con la sua famiglia di origine domenicana adesso si trova in zona rossa.
Ma la vita quotidiana non consente tregue: ci sono la scossa, il silenzio ed i morti, ma papà e mamma devono andare al lavoro. Il settore alberghiero, nonostante la fuga dall’isola della maggior parte dei turisti, non si ferma. La mamma fa le pulizie, il papà è ai fornelli nella cucina di un hotel.
Le braccia dell’accoglienza si aprono: ci sono i fratelli e le sorelle maggiori di J. (che hanno dai 14 ai 22 anni), e gli operatori, che si danno da fare durante l’assenza dei genitori.
Fabio Donini è responsabile della struttura: «Abbiamo dato disponibilità anche per l’animazione dei bimbi fra gli sfollati, che sono circa 250. Ora insieme alla
Diocesi di Ischia si valuterà il da farsi. L'isola è una piccola comunità di 6 comuni: una famiglia in cui si vive una grande generosità e un gran calore».
Insieme alla Caritas operatori ed accolti hanno aiutato ad allestire dei punti ristoro; adesso si stanno adoperando per tornare nell’appartamento in zona rossa a raccogliere gli omogeneizzati ed i vestitini del bambino.
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Barbara Rigoli, psicologa e psicoterapeuta della Comunità Papa Giovanni XXIII con esperienze nei terremoti di Assisi e di Norcia ha incontrato la ventina di persone che ha deciso di non abbandonare le proprie case: «Molti vogliono rimanere, darsi da fare e ricostruire. Ci raccontano tranqullamente del boato, del rumore sentito, delle case che ruotano come su sé stesse. Quello che ho notato fra loro è la rabbia. Dopo un terremoto la mente si offusca, si è irritabili, si dorme poco. Le difficoltà di coordinamento dei soccorsi che ci sono state dopo la scossa li hanno frastornati. Ma la rabbia in queste condizioni è una reazione piuttosto normale: le persone hanno bisogno di identificare un nemico, che permette loro di andare avanti».
Marco Tassinari, foto di Barbara Rigoli
25/08/2017
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