La legge 194 del 22 maggio 1978 non è una legge sull'aborto; o almeno non solo. Lo si capisce già dal titolo: Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria di gravidanza. A volte, basterebbe applicarla correttamente.
«La legge sull'aborto è iniqua, come ogni legge che permette l'uccisione di un essere umano, quali la pena di morte e l'interruzione dell'idratazione e alimentazione per le persone in cosiddetto stato vegetativo. Da 40 anni nessuno si è più preoccupato non solo dei bimbi ma neppure delle donne. Fu invocata per la liberazione della donna ma dietro a questi slogan si celava l'inganno. Don Benzi diceva che l'aborto provoca sempre due vittime: il bimbo mortalmente, la mamma per sempre».
È quanto dichiara Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, in merito alla Legge 194 di cui ricorre il 40° anniversario.
Di seguito una delle testimonianze raccontate nel libro Indesiderate di Andrea Mazzi.
«Credo che diventare mamma sia la cosa più bella di questo mondo ma io purtroppo ci ho rinunciato. Quando ho scoperto di essere incinta ero davvero felice perché finalmente potevo realizzare il mio sogno: stringere tra le mie braccia mio figlio. Però alcune situazioni mi hanno portata a fare la mia scelta: portare avanti la mia gravidanza e mettermi contro tutti, compreso i miei genitori, o rinunciare. In quel momento non sapevo cosa fare, non sapevo cosa scegliere e soprattutto non sapevo quale fosse la cosa più giusta da fare in quel momento. Ho passato dei giorni bruttissimi, piangendo e sperando che quella che stavo per prendere fosse la decisione più giusta.
Nei primi giorni non avevo ancora maturato la possibilità di diventare mamma e infatti odiavo quel bambino che dentro di me si stava formando, perché dovevo decidere sulla sua vita. Ma il mio odio si è trasformato in amore quando l’ho visto per la prima volta in ecografia. La gioia che ho provato quando il dottore mi ha detto “Questo è il tuo bambino” è stata enorme e non penso di riuscire a spiegare con le parole quello che si prova, perché sono emozioni forti, perché senti il suo cuoricino che batte, perché lo vedi e perché capisci che dentro di te si sta formando una nuova vita, una vita che io ho deciso di non far nascere. Ma questa mia felicità momentanea si è convertita in pianto; non era giusto far morire una creatura così piccola e indifesa così desiderosa di venire al mondo.
Ero da sola, non sapevo cosa fare, ero molto confusa e solo una persona ha cercato di farmi riflettere su ciò che stavo facendo e convincermi a non farlo. Ma ormai la mia decisione l’avevo fatta e armata di molto coraggio mi sono presentata per l’intervento. Anche quel giorno piangevo, mi sono chiesta se era giusto ma non ho saputo darmi la risposta.
Dopo l’intervento credevo di stare meglio. Ormai era tutto finito, non c’era più nulla di cui preoccuparsi, ma invece non è stato così. È dopo che è cominciata la mia sofferenza. Mi sono sentita vuota, mi sono odiata per quello che avevo fatto, avevo preso la mia decisione con il massimo egoismo di questo mondo, non ascoltando nessuno e non pensando al bambino che in tutta questa storia era l’unico innocente.
È passato circa un mese, ma l’immagine di mio figlio continua a tormentarmi, come se mi dicesse: “Mamma perché non mi hai fatto nascere?” E anch’io continuo a chiedermi perché non l’ho fatto nascere; ma questa volta una risposta l’ho trovata: sono stata egoista e ho pensato ai miei interessi. Ho chiesto perdono a mio figlio e continuo a farlo tutti i giorni. Spero che mi abbia perdonato, che non mi odi come ho fatto io con lui e che continui a starmi vicino sempre. Solo adesso che non c’è più lo sento mio più che mai, come una cosa che mi appartiene e che non andrà mai via, perché io non lo voglio dimenticare, anzi nel mio cuore ci sarà sempre spazio per un suo ricordo.
Nessuno può capire il mio dolore, quello che provo non solo in questo momento ma sempre; nessuno può mai capire cosa significhi rinunciare a un figlio.
Ho deciso di raccontare la mia storia per far capire a chi vive la mia stessa situazione, di pensarci bene prima di andare avanti perché la sofferenza che si prova dopo è immensa e nessuno può colmarla, né l’amore del compagno, né l’affetto degli amici. Parlarne con qualcuno può aiutare a sentirsi meglio, meno in colpa ed è quello che io non ho fatto e che sto facendo adesso perché mi aiuta a vivere più serena e per questo voglio ringraziare una persona che pur non conoscendo è fantastica e mi sta aiutando ad essere meno triste e più forte, ma anche una persona che ancora adesso continua ad ascoltarmi, a consigliarmi e a farmi capire che la vita va avanti. Grazie di cuore, se non vi avessi conosciuti non avrei avuto la forza di reagire.
E a voi future mamme, non siate egoiste come me, pensate alla decisione che prenderete perché vi segnerà la vita e vi porterà un immenso dolore. Vostro figlio non chiede di essere messo al mondo, ma non chiede neppure di non nascere; la vita di vostro figlio è più importante del giudizio della gente; perché il giudizio con il tempo scompare ma l’amore e la gioia che il vostro bimbo vi darà sarà per sempre e mai nessuno potrà portarla via»
Nei primi anni ’70 si iniziarono a diffondere dicerie secondo cui in Italia avvenivano da 2 a 4 milioni di aborti clandestini all’anno, con 20-25 mila donne che ne morivano ogni 365 giorni. Si trattava in realtà, si sarebbe scoperto poi, di numeri totalmente infondati. Dall’unico studio fatto in quegli anni emerse che non potevano essere più di 100 mila gli aborti clandestini, numero più proporzionato a ciò che poi realmente sarebbe emerso con la legalizzazione. Eppure il dato costituì una bandiera importante per i sostenitori di un percorso per la legalizzazione dell'interruzione volontaria di gravidanza.
«Credo che diventare mamma sia la cosa più bella di questo mondo ma io purtroppo ci ho rinunciato». Teresa, che ancora porta nel cuore l'ecografia del suo bambino mai nato, racconta il suo tormento. E poi c’è Rossella, che stava per recarsi ad abortire ma che ha deciso di tenere suo figlio, dopo aver visto una trasmissione in tv.
Ne ha raccolto i vissuti Andrea Mazzi, obiettore di coscienza alle spese militari ed abortive, a quarant’anni nel 2018 dall’entrata in vigore della legge 194 del 1978 sulla “tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”. Dal 2010 Mazzi rifiuta di pagare la parte di tasse che finanziano gli aborti, ed è impegnato in ricorsi contro le cartelle esattoriali: «Non voglio finanziare — spiega — la morte dei miei simili pagata con i miei soldi».
Le storie ed insegnamenti di centinaia di mamme, che Mazzi ha incontrato in un ventennio di attivismo, sono raccolti nel suo nuovo libro, Indesiderate (234 pagine, Ed.Sempre Comunicazione).
Il libro si propone come punto di riferimento non ideologico sull’aborto. Mazzi mette in luce, con esempi, i risultati dell’applicazione in alcuni casi, e della mancata applicazione in altri, dei principi della legge 194. Un intero capitolo risponde alle domande tipiche che si pongono le gestanti in difficoltà; l'analisi sull'induzione all’aborto punta il dito contro il partner, ma anche sulle difficoltà di molte donne nel coniugare famiglia e lavoro.
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«Le cronache di questi giorni ci dicono che il mondo del lavoro si manifesta sempre più come luogo pericoloso per le mamme, dove si intensificano scelte e comportamenti di vera e propria discriminazione verso le donne incinte e con bimbi piccoli», scrive Mazzi.
Lucia Bellaspiga, inviata di Avvenire, ha curato la prefazione: «Questo libro indispensabile non propina opinioni ma racconta i fatti. È grazie all’ignoranza dei fatti che un Paese civile come il nostro può serenamente uccidere in silenzio centomila bambini ogni anno, in modo legale e dunque lecito».
Andrea Mazzi, modenese, è sposato, ha due figli e di professione fa l’ingegnere. Attivo fin da giovane sui temi della pace e dell’impegno a favore dei poveri nel Sud del mondo, dal 1991 è membro della Comunità Papa Giovanni XXIII e dal 2000 ha iniziato ad incontrare le donne che si trovano in difficoltà a causa della gravidanza.