«Gesù chiede di essere amato negli ultimi. Ci chiede di riscoprire la nostra più alta vocazione: la vocazione all'amore. Ci chiede di metterci in ascolto di chi non chiede altro che essere amato nella propria debolezza. Anzi, di essere amato proprio perché è debole, malato, piccolo». Un pezzo di vita condiviso con i piccoli, una testimonianza che squarcia il cuore.
Parole che come pietre sono risuonate lo scorso 27 Gennaio, al convegno per la Giornata per la Vita, nella sala della Lupa, a Montecitorio, dove settant'anni fa nacque la nostra Repubblica. Parole pronunciate da Luca Russo, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII e papà di casa famiglia, che con sua moglie Laura, condivide la vita con bimbi portatori di handicap e cerebrolesi. Testimonianza raccontata nel suo libro L'eutanasia di Dio. «Durante le notti passate insonni a vegliare su questi bambini ho imparato ad inserire ogni situazione all’interno di un disegno più ampio, che abbraccia ogni dimensione, anche la più scomoda, dell’umanità – racconta Luca – La vita, anche quando è debole, è sempre feconda. Non possiamo archiviarla con un'eutanasia di Stato, come una sorta di darwinismo sociale».
In questi giorni, nello stesso palazzo, si discute al contrario di sopprimere queste vite. È in corso infatti il dibattito sul testamento biologico sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. Il dibattito è previsto per la fine di febbraio in aula alla camera dei deputati. Sul tema è intervenuto Giovanni Paolo Ramonda, responsabile della Comunità di Don Benzi: «Siamo fortemente contrari alla proposta di legge sul testamento biologico. Si affronta un tema complesso e delicato quale la vita e la morte in modo superficiale e semplicistico. Non si pongono limiti alla rinuncia ai trattamenti salva vita, addirittura includendo la nutrizione e l’idratazione artificiale tra i trattamenti sanitari, rendendo così praticabile l’eutanasia. Infine la proposta non prevede la possibilità dell’obiezione di coscienza per il medico» Alcuni paventano anche il pericolo che questa proposta di legge, se approvata, obbligherebbe i medici a lasciar morire chi si trova in un momento di sconforto. «Queste persone, con disabilità gravissima, hanno voglia di partecipare, di andare sulle alte vette, di vedere il mare, di incontrare un sorriso. Desiderano avere qualcuno che si giochi la vita con loro. La sofferenza - conclude Ramonda - non è data dall'handicap o dalla malattia, ma dalla solitudine che si crea a causa di queste condizioni».