Davvero ogni momento della nostra vita può diventare occasione speciale di incontri, di cammino e di rinnovamento della nostra fede.
Il capodanno, così, può diventare un momento ancora più speciale se vissuto con gli ultimi. Anche quest’anno centinaia giovani in tutta Italia e non solo hanno vissuto un “Ultimo con gli ultimi!”, un capodanno vissuto coi più poveri, con chi non ha nessuno con cui fare festa. Molti di questi percorsi si sono svolti per strada, nelle stazioni ferroviarie, nelle piazzette di quartiere, nelle carceri: uno stile che la Comunità Papa Giovanni XXIII chiama “Fuori le Mura”.
La parola d’ordine per un Capodanno davvero “fuori le mura”, un “ultimo con gli ultimi” è una sola: incontrare. E quindi da Scicli a Chieti, da Riccione a Catania, dalla Romania al resto del mondo si creano mondi vitali dove chi è solo ed escluso, nei giorni delle feste o solo per una notte, non viene dimenticato, anzi, viene posto al centro della festa, perché davvero sia “festa senza fine”.
E allora per strada ci si incontra e non si capisce più chi è andato per chi: si gettano ponti verso l’infinito. Con gli scarponcini ben legati ai piedi si lascia la “divano-felicità” in cui spesso cadiamo (come ci ricorda Papa Francesco da Cracovia). Si cammina insieme non perché si debba dare o ricevere qualcosa, ma per fare festa insieme, per stare insieme e riconoscersi uguali, figli dello stesso Padre. Un incontro di sguardi e uno stare insieme per qualche giorno o solo per una notte che disarmano e scaldano il cuore e non ti lasciano più.
Come quando ri-incontri per l’ennesimo anno Carla, 7 anni, che nel povero e difficile quartiere di Jungi (Scicli) ti corre incontro, ti abbraccia e ti dice: «Lo sapevo che tornavate, voi tornate sempre!».
Come quando scherzi e canti insieme ai ragazzi dell’Istituto Penale Minorile di Acireale ed entri in contatto coi loro vissuti, le loro storie così scomode per noi, i loro sogni, la rabbia, le speranze.
Come quando ti allontani dallo sfavillio e dai clamori dei cenoni e ti immergi nell’assordante silenzio del cimitero di Armo (Reggio Calabria) dove sono sepolti i corpi di chi ha terminato il suo viaggio tra le acque dei nostri mari.
Come quando sei seduta al tavolo e ti trovi a chiacchierare con Amanda, una ragazza di 19 anni uscita dal racket della schiavitù, che con timore ti consegna il dolore di anni vissuta da schiava e della sua voglia e della sua paura di rinascere a una vita “normale”.
Come quando ti trovi a ballare al ritmo di un rap cantato da Iqbal, un ragazzo pakistano di 29 anni, che, nonostante tutte le sue croci trova e trasmette tanta gioia di vivere.
Si taglia il panettone insieme a chi magari non ha una casa, un lavoro e a volte documenti e una famiglia. Si suona la chitarra e si mangia e beve insieme, così, in semplicità con chi elemosina sorrisi e attenzioni tutto l’anno senza riuscirci. E allora è festa davvero: non serve tanto, serve metterci cuore e faccia, il resto viene da sé.
Davide, 28 anni: «In stazione dei treni a Reggio, il 31 notte, mangiavamo e cantavamo e ballavamo insieme… senegalesi, nigeriani, indiani, italiani, pakistani, rumeni, irakeni, giovani, vecchi, donne e uomini. La stazione si è riempita di una multiformità di volti e colori che nemmeno ci si riusciva a distinguere e riconoscere: tutti ballavamo la stessa musica».
Maria, 24 anni: «Questi giorni di condivisione sono stati raggi di sole per il cuore… questi non sono regali che capitano tutti i giorni!».
Martina, 25 anni: «Mi ha commosso vedere come, vivendo questi momenti di gioia semplice, le diversità, le storie di cui siamo figli, le ferite quasi spariscono e acquistano un sapore nuovo, carico di speranza. E vien voglia di dirlo a tutti che roba bella è incontrarsi così».
Filippo, 17 anni: «Questi giorni di festa vissuti in Romania coi più poveri non mi hanno dato tante risposte, non mi hanno riempito di certezze, ma hanno messo dentro di me tante domande sul mio futuro e le mie scelte odierne. Mi sento inutile e necessario allo stesso tempo».
Francesca, 23 anni: «Questi giorni vissuti per strada e in orfanotrofio coi “piccoli” sono stati per me Tempo: per pensare e per agire, ripartendo da piccoli gesti e semplici sguardi. Tempo in cui assaporare la bellezza dell’incontro in quella Betlemme all’apparenza così lontana, ma in realtà così vicina: quel piccolo Bambino che nasce ogni anno nella semplicità povera io, con la meraviglia nel cuore, sono venuta ad adorarlo qui».
Davvero ogni momento della nostra vita può diventare occasione speciale di incontri, di cammino e di rinnovamento della nostra fede.
Buon anno e buon cammino al passo degli “ultimi”!
Se vuoi avere informazioni ulteriori sui percorsi Fuori le Mura Apg23 scrivi a giovani@apg23.org o chiama il 3403643101.