Ci sono persone che dal loro sguardo capisci che hanno l’Infinito dentro di loro e che in esso trovano pace ed energia per essere strumenti profondamente efficaci nella costruzione del Regno Dio mentre apparentemente sembrano insignificanti… Giovanni Forasacco è una di queste persone! Dopo i trent’anni lascia il suo lavoro per dimostrare che un’alternativa al nostro sistema è possibile. Spende molte delle sue energie come operatore di pace nel M.I.R., e nella campagna per l’obiezione fiscale alle spese militari. Amante della terra e del suo ecosistema, per molti anni si dedica alla coltivazione biologica, facendo parte della cooperativa “Le Valli” di san Germano dei Berici. Ma non si sente soddisfatto: la sua conformità a Gesù non l’avverte piena. Conoscendo ed entrando a far parte della Comunità Papa Giovanni XXIII comprende che il suo amore per il creato può coniugarsi con l’amore ai piccoli, ai poveri, agli ultimi, i privilegiati di Gesù! Senza farsi problemi o scrupoli parte missionario per la Bolivia a 54 anni per andare a vivere in piena foresta Amazzonica, nella regione dell’Alto Beni, insieme ad un gruppo di alcolisti per accompagnarli nel loro recupero, persone ormai senza speranza, la cui unica possibilità di sopravvivere era allontanarsi così tanto dalle tentazioni da isolarsi nella giungla. Insieme a loro coltiva banane, caffè, riso, ed annuncia la parola di Gesù traducendo loro “Pane Quotidiano”, il bimestrale con la parola di Dio di ogni giorno e le meditazioni di don Oreste Benzi. Ma soprattutto li ascolta, li sostiene, ed ancor più comprende le loro miserie, li perdona, sa essere veramente misericordioso.
Le condizioni di vita in quel posto sono estremamente difficili: caldo umido, miriadi di insetti che ti tormentano tutto il giorno, povertà estrema (edifici senza porte e senza finestre, come letti dei pagliericci). Nessun altro missionario è riuscito a stare lì a lungo, mentre Giovanni sembra aver trovato il suo paradiso, il suo habitat perfetto, donando tutte le sue energie a quegli uomini distrutti dall’alcool e da una vita di stenti. Dopo ben 5 anni di vita in questo angolo sperduto nella foresta amazzonica, ritorna in Italia e tutti riconoscono che è felice: i suoi occhi sono luminosi, il suo sorriso raggiante.
Con l’aiuto di donazioni dall’Italia e con dei progetti dell’Unione Europea, da gran lavoratore riesce a costruire un nuovo capannone dove poter vivere più dignitosamente, con una cucina e una mensa degne di questo nome, con i letti con dei materassi di gommapiuma. In maggio di quest’anno rientra in Italia per reperire ancora fondi per continuare questi lavori e il suo viso esprime una serenità che pesca nell’Infinito il suo segreto. E Dio, infinito nell’amore, vede che la missione di Giovanni su questa terra può concludersi e qualcun altro può continuare il suo lavoro: lo chiama a sé il 29 agosto scorso mentre sta lavorando la sua amata terra, a 63 anni. Ora vive pienamente in Dio, l’Eterno presente e l’Infinitamente semplice, e gusta la comunione e l’armonia che con ogni suo piccolo gesto ha cercato di realizzare.
Giovanni, aveva lasciato detto agli altri missionari che, in caso di morte, voleva essere sepolto di fronte alla cappella di quella piccola comunità di persone ferite, accanto ad un giovane ospite morto qualche anno fa, Lucio, ragazzo con disagio mentale che aveva scelto Giovanni come sua figura paterna: un ultimo segno di condivisione in quella terra andina.
Giovanni viveva nell’atteggiamento del mite secondo una definizione di don Oreste Benzi: «Il mite è colui che sa che la verità e la giustizia di Dio sono fatte per il cuore umano e in forza dell'azione dello Spirito Santo trionferanno».
Qualche grammo di lievito è qualcosa di insignificante, eppure può far fermentare e lievitare una massa notevole di farina mescolata con l’acqua. Giovanni si può paragonare davvero a qualche grammo di lievito: la sua esistenza vissuta senza nessun proclamo ma nella più vera concretezza, la sua unione con Dio celebrata nell’attimo presente e nella profondità della sua interiorità, l’amore per il creato che si trasformava in profondo rispetto per l’ambiente, il vivere totalmente nell’essenzialità (tutti ce lo ricordiamo sempre a cavallo della sua bicicletta nei suoi spostamenti in Italia) e negli ultimi nove anni nella piena povertà, il diventare ultimo con gli ultimi, legandosi totalmente alle persone in programma terapeutico con tutte le loro miserie e con tutte le loro ricchezze, ha fermentato la piccola massa di persone con cui è venuto in contatto facendo scorgere la scintilla d’Infinito che dimorava in lui e che diffondeva tramite la sua semplicità.
Arturo Mottola, missionario della Papa Giovanni XXIII in Argentina e Bolivia-Yacuiba, ricorda così Giovanni, che aveva conosciuto bene:
«Ho ancora dentro di me le parole di Roberto Vittori (Responsabile di Zona di Vicenza da cui era originario Giovanni) quando mi chiese di accoglierlo in missione in Bolivia di cui ero Responsabile: “Arturo, ho proprio una persona che vedrai ti aiuterà tantissimo in Alto Beni... è un lavoratore, ma pieno di fede! Sta facendo il PVV (periodo di verifica vocazionale), ma è proprio bravo”. Bastò davvero poco per capire che era proprio così. Dal nostro primo incontro mi resi conto di quanto Giovanni fosse una persona semplice, umile e ricco di valori evangelici. Austero con se stesso ma con cun uore grande per gli altri e soprattutto con i poveri, con i giovani ex-alcolisti in programma terapeutico, con cui condivideva giorno dopo giorno la vita quotidiana nella semplicità e nel nascondimento. Grande uomo di preghiera e sempre pieno di quel desiderio dell'incontro con Gesù che era davvero la colonna vertebrale della vocazione che Iddio gli aveva dato. Davvero Giovanni è stato un grande dono perché ha messo la sua spalla sotto la croce di quei tanti poveri che ha incontrato nella sua vita Missionaria e di Comunità».