L’attesa è finita, è arrivato il momento più bello dell’anno: il Natale, con i doni e la tavola imbandita, che si allunga per far posto ai parenti, agli amici, alle persone più care. È una festa grande, e se è vero che più si è meglio è, allora la festa di APG23 è grandissima, perché gli invitati sono più di 41.000 nei cinque continenti. C’è posto per tutti e, soprattutto in questo tempo, è una gioia far parte di questa famiglia variegata e variopinta, che gode della ricchezza più grande: la condivisione.
Il Natale nelle case della Comunità non ha una tradizione propria, ma raccoglie quelle delle persone che ne fanno parte e dei Paesi che ospitano le sue missioni.
In Sud America è una festa nella festa. Il Cile canta e balla, cucina l’agnello e aspetta l’arrivo del Viejito Pascuero, il Vecchio Uomo di Natale; i bambini dell'Escuelita sono in vacanza, ma l’ultimo giorno di scuola hanno ricevuto un regalo ciascuno, avvolto nella carta luccicante: Felipe e Carolina sono corsi a casa eccitati e la madre Patricia ha rivolto al cielo una muta preghiera, perché non avrebbe davvero potuto comprar loro qualcosa. In Brasile non si usa fare l’albero di Natale bensì il Presepe; nelle case famiglia ce ne sono di bellissimi, con le statuine di terracotta che arrivano dell’Italia mescolate alle figure della tradizione locale: i bambini accolti da Anna e Reno dicono che è proprio la fotografia della loro famiglia.
In Africa il Natale è qualcosa di molto diverso: niente luminarie né alberi addobbati, con l’unica eccezione delle capitali, nessuna tradizione culinaria, in alcuni Paesi non è nemmeno un giorno festivo. Sono i credenti quelli che lo celebrano, ed è un Natale essenziale e senza fronzoli. Ci si avvicina al 25 dicembre con il ritmo pacato che scandisce ogni giorno dell'anno, ma nel contempo sentendo crescere l'attesa per l'arrivo di Gesù bambino. A Ndola, in Zambia i bambini e i ragazzi di Cicetekelo Youth Project partecipano alla messa celebrata sotto l’insaka del progetto e poi si scatenano in una caccia al tesoro i cui premi sono matite, quaderni, ma anche cinture e cappelli che arrivano dall’Italia con il container, mentre in Tanzania ci si ritrova tutti a Iringa e per cucinare le lasagne e il riso speziato pilau, entrambi piatti tipici della festa.
In Russia è davvero un bianco Natale e dietro i vetri appannati della casa famiglia Padre Fernandez si intravedono Andrei e Denis ballare intorno all’albero.
In Italia è come lo conosciamo, ma moltiplicato per tante quante solo le persone accolte nelle diverse realtà: basti pensare che il regalo tipico a parenti e amici è un “ritratto di famiglia”, perché ogni anno si aggiunge qualcuno in più – al Monte Tabor hanno scattato una foto a dodici mani, la più piccola è quella mulatta di Theodore, vicino a quella nerissima di Janet e quella con le unghie rosicchiate di David.
E poi c’è il Natale portato a quelli che forse nemmeno sanno che è arrivato. I senza fissa dimora, per cui le Unità di Strada hanno organizzano una cosa piccola ma speciale, i canti intonati al suono della chitarra, o le candele rosse accese per rompere il buio della notte e illuminare, per una volta, gli anfratti dove dormono. Le donne costrette a prostituirsi, che forse per la prima volta assaggiano il panettone con i canditi. I bambini di Matasari, che aspettano il ritorno dei volontari per dare vita il “mare cercul”, il girotondo che diventa più grande man mano che altri arrivano correndo.
Natale è la loro festa, la festa dei piccoli, dei poveri e degli scartati, perché se Gesù bambino è nato in una mangiatoia, a metà di un cammino e lontano da tutti, per portare la salvezza nel mondo, allora sono proprio le persone che il mondo dimentica quelle che bisogna custodire come dei tesori. Ed è quello che succede in casa Apg23, non solo il 25 dicembre ma tutti i giorni dell’anno, perché o è Natale sempre o non è Natale mai.