«I figli che io e mia moglie abbiamo accolto nella nostra famiglia, una delle case famiglie della Comunità Papa Giovanni XXIII, affetti da disabilità gravissime e da malattie neurodegenerative, spesso abbandonati negli ospedali a motivo della loro malattia, oggi rischiano di essere nuovamente abbandonati dallo Stato». È la riflessione di Luca Russo, papà in casa famiglia e autore del libro Eutanasia di Dio. Oggi, 9 febbraio, nel più assoluto silenzio il Ministero della Salute “dimentica” di celebrare la Giornata nazionale sugli Stati vegetativi da lui stesso proposta nel 2010. Istituita per legge in memoria della morte per fame e per sete di Eluana Englaro, impegna il Governo ad organizzare annualmente iniziative per dare voce a chi spende la vita accanto a chi voce non ha. Un convegno interno al Ministero fu organizzato in fretta e furia negli anni precedenti ma quest’anno non se ne trova traccia.
Tutta l’attenzione è concentrata su un Progetto di Legge volto ad introdurre l’eutanasia in Italia, che dovrebbe essere discusso nei prossimi giorni alla Camera. Si tratta di un testo che a prescindere dallo stato di salute del paziente consente di sospendere in qualsiasi momento qualunque terapia in suo favore, perfino la somministrazione di cibo e acqua. L’unico requisito è che lui lo chieda, lo abbia chiesto nelle dichiarazioni anticipate di trattamento o il tutore lo chieda per lui. Non importa se il paziente si trova in un momento di sconforto, se quanto lasciato scritto è pertinente, se il tutore può beneficiare dalla morte del paziente. In ogni caso il medico, se questo Progetto di Legge dovesse diventare legge, sarà tenuto a rispettare tali volontà prescindendo da “scienza e coscienza”.
Ben diverso il tenore delle recentissime dichiarazioni vaticane contenute nella Nuova Carta degli operatori sanitari: «la loro sospensione non giustificata può avere il significato di un vero e proprio atto eutanasico, ma è obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l'idratazione e il nutrimento del paziente».
Luca Russo continua: «La sospensione di acqua e cibo è un vero gesto di “abbandono” del malato, un omicidio aggravato dalla tortura. Ma chi ha bisogno delle DAT (Dichiarazione Anticipata di Trattamento)? I più deboli che chiedono di esistere senza sentirsi un peso sociale o i più forti che non hanno voglia di sacrificare il loro tempo a fianco dei letti di chi è malato?»