«La famiglia è il luogo dove curare tutti, sia le persone accolte sia quelle accoglienti, perché è la risposta al bisogno innato di relazione che ha ogni persona». E' uno dei passaggi del discorso che il Santo Padre ha rivolto agli 800 bambini accorsi in Vaticano per l'udienza alla Comunità Papa Giovanni XXIII svoltasi sabato 14 gennaio nell'aula Paolo VI.
Una festa chiassosa dei ragazzi accolti nella case famiglia della Comunità fondata da don Oreste Benzi nel 1968, il sacerdote dalla tonaca lisa che ha convertito tanti e salvato emarginati dalla strada, dalla dipendenza, dalla tratta di persone. Francesco, radioso, è entrato nella grande aula col solo ausilio di un bastone per incontrare i tanti bimbi che con gioia spontanea hanno potuto vedere, salutare e stringere le mani a quel “Signore vestito di bianco” che vedono in televisione. Giovanni Paolo Ramonda, responsabile generale della Comunità, facendosi portavoce dei bambini ha salutato il Pontefice: «Nonno Francesco se possiamo ti chiamiamo così. Alcuni di noi hanno delle disabilità gravi ma anche delle qualità super! Siamo stati per molto tempo in ospedale, negli istituti, i nostri genitori biologici non se la sono sentita di tenerci, non li giudichiamo, anzi li ringraziamo per il dono della vita, sai tanti bimbi non vengono fatti nascere perché sono ciechi, sordi, con trisomia 21. Alcuni di noi erano nella lista per l’interruzione volontaria di gravidanza ma le nostre mamme hanno avuto il coraggio di dire sì alla vita. Alcuni di noi erano embrioni congelati e grazie al calore di un grembo materno oggi possiamo vedere le meraviglie del creato. Abbiamo trovato nuovi genitori, babbo e mamma, nuovi fratelli e sorelle e siamo qui per dirti grazie. Ti vogliamo bene!».
Tra i numerosi bambini provenienti dai cinque continenti, ve ne erano tanti disabili, alcuni gravissimi. Come Great, nigeriano di sei anni, tetraplegico costretto in carrozzina a causa di in incidente stradale, accompagnato da Emanuele, il suo fratello affidatario di 13 anni. Maria Chiara, 10 anni, che ha vissuto in Rwanda. Poi Jia Hui, sei anni, bimba di origine cinese con una patologia cromosomica che l'ha costretta spesso in ospedale, accompagnata da sua sorella affidataria Anna di 14 anni. Bianca, sette anni, in carrozzina, che sprigiona una positiva energia contagiosa. Laila, 12 anni, ha il papà che va spesso in Ucraina per aiutare le vittime. E Sara,13 anni, scappata dall’Iraq per evitare di diventare una sposa bambina.
Tra i piccoli c'era anche Marianna Bergoglio, sette anni, idranencefala: all'interno del suo cranio un liquor occupa il posto del cervello. Fu abbandonata alla nascita in ospedale dopo gli esiti di una radiografia prima del parto che svelava la gravissima malformazione cerebrale. Per questo motivo l'ufficiale dell'anagrafe la registrò con il cognome Bergoglio rendendola “figlia adottiva” di Papa Francesco, Pastore che ama e accoglie come un padre i poveri, i profughi e tutti gli scartati. La mamma affidataria, quando Francesco si è avvicinato gli ha sussurrato: «Santità, si chiama come lei». E il Santo Padre, fermatosi per un momento, l'ha teneramente benedetta.
Piccole vite che alcuni possono giudicare non degne di essere vissute vedendo solo inutile sofferenza. Al contrario questi piccoli disabili, che don Benzi definiva “le nostre colonne portanti”, mostrano il senso ultimo dell'esistenza: l'amore gratuito. Sono loro che riescono a convertire tanti cuori, anche i più inariditi, del ragazzo sbandato, della persona tossicodipendente, del ragazzo in servizio civile, del carcerato. Tutti, guardando loro piccoli innocenti, si inginocchiano.
Il Santo Padre ha riconosciuto la grande invenzione di don Benzi: la casa famiglia. «Don Oreste, con la forza dello Spirito Santo e il coinvolgimento di persone a cui Dio dava questa vocazione, ha iniziato l’esperienza dell’accoglienza a tempo pieno, della condivisione della vita; e da lì è nata quella che lui ha chiamato “casa famiglia”». Un riconoscimento che Papa Francesco ha voluto rimarcare ringraziando «il Signore e don Oreste Benzi che ha dato vita a questa bella realtà» e invitando i piccoli a ripetere «Grazie don Oreste! Un'altra volta: grazie don Oreste!».
Negli anni '50 Don Benzi vide la situazione dentro i grandi istituti dove vivevano le persone abbandonate e con handicap. «Dio ha inventato la famiglia, gli uomini gli istituti» ripeteva. Da lì iniziò la sua battaglia che porto nel 2006 alla chiusura definitiva di tutti gli istituti in Italia. Oggi sono numerose le case famiglia gestite da tante realtà sociali. Tuttavia troppo spesso si usa impropriamente il nome “casa famiglia” per definire strutture residenziali che non hanno nulla di simile ad una famiglia.
Probabilmente per questa ragione il Pontefice ha sentito la necessità di spiegare la peculiarità della vera casa famiglia «che si caratterizza per l’accoglienza in casa di persone che diventano realmente i propri figli rigenerati dall’amore cristiano. Un papà e una mamma che aprono le porte di casa per dare una famiglia a chi non ce l’ha. Una vera famiglia; non un’occupazione lavorativa, ma una scelta di vita. In essa c’è posto per tutti: minori, persone con disabilità, anziani, italiani o stranieri, e chiunque cerchi un punto fermo da cui ripartire o una famiglia in cui ritrovarsi».
Infine i bambini hanno consegnato al Papa un dono speciale: un libro con disegni e letterine che arrivano, oltre che dall'Italia, da Cina, Thailandia, Francia, Bangladesh, Cile, Zambia. Disegni che rappresentano i bambini con le loro famiglie e case famiglia; altri che mostrano la paura della guerra; altri che ritraggono Papa Francesco come un super eroe. Tra gli scritti ci sono domande simpatiche e altre che sfiorano i temi teologici più importanti. Come Marta dalla Thailandia che chiede: «Come stai papa Francesco? Io vorrei chiederti, se noi non ci amiamo, come possiamo fare? Perché quando la famiglia ha problemi di amore allora tutto finisce».
Fonte: L'Osservatore Romano