Pompei, 7 settembre 2018. Se don Oreste Benzi fosse qui, per lui sarebbe il 93° compleanno. Ha scelto questa data, la sua Comunità Papa Giovanni XXIII, per un pellegrinaggio al Santuario dedicato alla Madonna del Rosario. Accanto a questo luogo di preghiera mariano, tra i più visitati d'Italia, si trovano anche 2 case della Comunità aperte all'accoglienza dei poveri.
«Non c'è un disegno predefinito, ma sta di fatto che negli ultimi anni abbiamo aperto case famiglia a Lourdes, a Fatima, a Pompei e alla Madonna della Guardia (GE) mentre stiamo valutando una nostra presenza a Guadalupe - dice Giovanni Paolo Ramonda, responsabile generale della Comunità -. È come se Maria ci stesse attirando vicino a sé per indurci a vivere ancora più intensamente la scelta di condividere la vita con gli ultimi».
Con Ramonda sono giunti qui centinaria di membri dell'associazione da varie parti d'Italia. A sfamare questa moltitudine non ci saranno i 5 pani e 2 pesci di evangelica memoria ma i famosi panuozzi di Vincenzo Staiano, noto come "il pizzaiolo del Papa" per aver offerto la sua pizza ai poveri di Francesco in occasione delle celebrazioni che hanno dichiarato santa Madre Teresa di Calcutta. La sua è una storia davvero particolare che verrà raccontata sul mensile Sempre di novembre.
A concludere il pellegrinaggio, la Messa celebrata dal vescovo di Pompei, Tommaso Caputo.
«Don Oreste è stato qui l'ultima volta nel 2006 per un meeting diocesano con giovani - ha ricordato mons. Caputo -. Qui a Pompei lui e la Comunità Papa Giovanni XXIII ci insegnano la condivisione con gli ultimi, la preghiera, la fraternità, la povertà, il lasciarsi garantire il cammino dall'autorità. Affidiamo a Maria la vostra bella Comunità e preghiamo perché sia sempre fedele agli insegnamenti di don Oreste e si diffonda in tutto il mondo. Affidiamo anche la causa di beatificazione di don Oreste, perché possiamo vederlo presto alla gloria degli altari».
Al vescovo è stato donato un pastorale realizzato in Sicilia dalla cooperativa Ro' la Formichina, fatto con il legno dei barconi con cui arrivano dal Mediterraneo persone in fuga da guerra e povertà.
(alessio zamboni)
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La casa famiglia di Salvatore e Raffaella si trova a poche centinaia di metri dal Santuario di Pompei, luogo dove oggi, 7 settembre, l’intera Comunità Papa Giovanni XXIII si è recata in pellegrinaggio per celebrare così il compleanno del suo fondatore a quasi 11 anni dalla sua salita al cielo. Il sorriso di Salvatore e Raffaella e la loro accoglienza brillano di giovinezza che risplende e resiste al passare degli anni.
Sono entrambi originari di Vico Equense, nel Napoletano, e da sempre hanno una sensibilità spiccata per mettersi a servizio a chi ha bisogno. Un’apertura e una disponibilità che emanano in modo assolutamente naturale, anche se la loro strada non la trovano subito: «Facevamo volontariato in una casa famiglia, una “cosiddetta” famiglia – calca l’accento Salvatore, per sottolineare che le vere case famiglie sono quelle in cui il papà e la mamma scelgono di condividere la vita 24 ore su 24 –, con operatori, e ci hanno proposto un affido. In realtà noi volevamo capire la nostra strada»
«Quando abbiamo conosciuto don Oreste è stato un trovare quello che stavamo cercando: coniugare l’impegno pratico, sociale, con la fede», prosegue Raffaella. «Il periodo iniziale abbiamo seguito l’invito di don Oreste a frequentare i deserti. Ancora oggi ci teniamo all’ impegno nella preghiera quotidiano, sempre insieme. Anche nel 2000, quando Giovanni Paolo II ha invitato alla riscoperta della Lectio Divina in famiglia, l’abbiamo seguita per diversi anni. Già prima avevamo colto questa sensibilità nella parola».
Ora in casa sono in 12. Oltre a Salvatore, Raffaella e la figlia Roberta, c’è la mamma di Raffaella di 93 anni. Perché non è sempre vero che si è costretti a scegliere se prendersi cura dei propri familiari o degli altri. Se c’è apertura e intelligenza d’amore c’è posto per tutti, e i bambini hanno così anche una nonna. Infatti ci sono due minori di 10 e 11 anni orfani di mamma. Una ragazza di 32 anni con una lunga storia di affidi falliti alle spalle. Una ragazza brasiliana di 25 anni, anche lei che arriva da una adozione fallita: «arrivò fuori dal portone di casa – racconta Salvatore – facemmo un lungo colloquio, abbiamo cercato una mediazione con i familiari, ma scelse di rimanere qui e ora ha ricominciato lo scuola». Poi c’è una mamma marocchina con una neonata, una ragazza qui da settembre che aveva conosciuto la casa famiglia di Assisi e le hanno consigliato di venire qui, e un signore senegalese di 42 anni, operato al cuore.
Ma come siete arrivati qui? «Diciamo che c’è stata una profezia! – racconta Raffaella – Nel 2012 andammo a prendere Paolo Ramonda all’Aeroporto perché doveva fare un convegno da queste parti. Passando dall’autostrada gli facemmo vedere il campanile del Santuario della Madonna di Pompei e – recitando il rosario – Paolo disse “magari ci chiamassero…”. Dopo un anno il vescovo Caputo ci chiamò. Quando il Vescovo ha chiamato, Paolo Ramonda ci ha chiesto la disponibilità a venire. La casa è stata aperta il 5 maggio 2014».
«Qui c’erano un tempo tanti istituti – racconta Salvatore –, fondati dal Beato Bartolo Longo, l’avvocato pugliese che ha fortemente voluto e realizzato il Santuario. Lui, dopo un periodo travagliatissimo di perdita di fede ed esoterismo, è stato chiamato alla conversione. Lui ha fondato dal nulla il Santuario, ma come tutti i santi “sociali” ha avuto l’intuizione di creare opere accanto al santuario. Qui arrivavano tantissimi orfani, anche da fuori regione. Come San Giovanni Bosco dava a tutti questi ragazzi un lavoro. Quindi qui c’erano scuole tecniche in cui imparavano un mestiere».
Anche questa casa in cui vivono, come quelle che la circondano, sono state un’intuizione di Longo: prima del Santuario ha fatto edificare le case per i manovali che lo avrebbero costruito. Queste sono conosciute come le “Ex case operaie”. «Tre giorni dopo l’apertura è passato di qui Mons. Parolin, segretario di stato Vaticano, e il nostro vescovo è rimasto meravigliato di come lui parlasse con noi, in maniera semplice e familiare, dei nostri missionari in Venezuela, che conosceva personalmente».
«Con il vescovo, come ci invitava a fare don Oreste, abbiamo un rapporto molto buono. Lui ci ha presi a cuore e sentiamo che si appassiona in particolare delle storie che gli raccontiamo, delle nostre accoglienze».
Sono passati da questa casa anche mons. Ravasi e il card. Bassetti. «Quando vengono il nostro vescovo li porta qui – chiude onorato Salvatore – gli piace come lavoriamo, e la nostra casa è sempre piena di storie, di persone, e accogliente ad ogni ora».
(marco scarmagnani)
Il beato Bartolo Longo riceve l’ispirazione divina a diventare apostolo del rosario mentre «in preda ad una tristezza cupa e poco meno che disperata», in un giorno di ottobre del 1872 si aggirava smarrito nei pressi di Pompei. «Tutto era avvolto in quiete profonda – scrisse –. Volsi gli occhi in giro: nessun’ombra di anima viva. Allora mi arrestai di botto. Sentivami scoppiare il cuore. In cotanta tenebrìa di animo una voce amica pareva mi sussurrasse all’orecchio quelle parole, che io stesso avevo letto […]: “Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!”».
L’immagine della Madonna del Rosario arrivò nella Valle di Pompei il 13 novembre 1875. «Or chi avrebbe creduto possibile che quella vecchia tela, pagata più di tre lire, e che faceva allora il suo ingresso in Pompei sopra un carro di letame, era nei disegni della Provvidenza ordinata ad instrumento di salvezza di innumerevoli anime?».
Un luogo che testimonia la conversione dopo la caduta, come per molti che hanno redento la loro vita dopo aver conosciuto don Oreste e la sua Comunità; un luogo nel quale la Provvidenza ha scelto di servirsi di strumenti umili, come un vecchio quadro da tre lire, come molti “piccoli” che nelle case famiglia diventano pietre angolari. Un luogo che pare fatto apposta per accogliere la Comunità Papa Giovanni XXIII che è stata qui in pellegrinaggio il 7 settembre 2018, data del compleanno di don Oreste Benzi.
(marco scarmagnani)