"In dialogo con il popolo rom", era il titolo del secondo dei 3 seminari previsti per il 2019 sulla cultura rom e sinta, organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII lo scorso 16 marzo si è svolto a Marebello (RN).
Soprattutto in occasione della giornata mondiale del popolo camminante, che ricorre ogni anno l'8 aprile, è importante porre l'attenzione su quanto poco conosciamo questa cultura centenaria e su quanti pregiudizi si annidano anche tra i più tolleranti.
«In Italia ci sono 180mila rom, di cui solo 20mila (dati 2018 Università di Chieti) vivono nei campi» ha ribadito durante il seminario Giorgio Bezzecchi, rom di origine croata che vive a Milano, «Spesso si focalizza l’attenzione su quelli che vivono nel degrado, dimenticandosi degli altri 160mila che sono integrati». Bezzecchi, rom attivista, presidente della cooperativa Romanò Drom, è stato collaboratore di Fabrizio De André, per la famosa canzone Khorakhanè, in seguito alla quale era nata una grande amicizia. Il suo intervento è partito dalla storia della sua vita, dalle difficoltà di essere rom in Italia negli anni ’60. Proprio lui è stato il primo rom scolarizzato in Italia e la sua è una storia di riscatto sociale: i suoi genitori vivono ancora in un piccolo campo a Milano, lui invece, da quando si è sposato con un ufficiale della finanza, una donna che si occupava del campo in cui viveva con la famiglia, si è trasferito in una casa, come attivista e collaboratore degli enti locali, in difesa dei diritti del suo popolo.
«È sbagliato - continua Bezzecchi - confondere il degrado che viene dalla marginalità e dall’esclusione con la cultura rom. Sono circa 160mila i rom integrati, molti dei quali, circa 100mila, sono italiani a tutti gli effetti, da diverse generazioni, mentre gli altri 60mila sono rom slavi balcanici con i documenti in regola». Insomma: 20mila persone che vivono nei campi nomadi hanno più peso di questi 160mila rom che sono perfettamente integrati nel nostro territorio. Bezzecchi distingue bene quella che è la mancanza e la perdita di valori culturali e la povertà interiore ed esteriore che ne deriva, soprattutto interiore, con la cultura, che è un’altra cosa.
Il prossimo seminario sarà il 4 maggio a Bologna sul tema: “La coscienza di popolo e il protagonismo politico”. Ospite d'eccezione: Vojislav Stojanovic, rom serbo, mediatore culturale europeo, ingegnere civile, presidente dell’opera nomadi Torino.
Khorakhanè (A forza di essere vento): una canzone di Fabrizio De André sul popolo camminante
L’8 aprile in tutto il mondo si celebra la giornata internazionale dei Rom e dei Sinti. La ricorrenza è stata istituita per ricordare il primo congresso mondiale del popolo Rom che si tenne a Londra nel 1971. In quell’occasione il nome Rom, che significa “uomo” nella loro lingua, fu scelta per indicare la nazione Romanì, che comprende varie comunità. Quel giorno si costituì la Romanì Union, la prima associazione mondiale dei Rom, fu scelta la bandiera Rom (una ruota rossa in campo azzurro e verde) e l’inno nazionale “Gelem gelem”.
«Tra tutte le ricorrenze internazionali, quella dell’8 aprile è forse la meno conosciuta» spiega Natascia Mazzon, referente della condivisione con i Rom e Sinti. «Infatti già da 44 anni l’8 aprile viene celebrato in tutto il mondo dal popolo Rom e, se è vero che i Rom sono tra i gruppi più discriminati nel nostro Paese, ogni occasione può essere utile per provare a smontare quella bolla di pregiudizio e di stigmatizzazione, di stereotipi e di luoghi comuni che hanno consentito la diffusione di una così aggressiva ostilità nei loro confronti.
In questa ricorrenza si potrebbe parlare di cose molto più tristi, ad esempio del “Porrajmos” (significa “grande devastazione” e si riferisce allo sterminio nazista), quando circa 600mila tra Rom e Sinti sono morti, insieme ad ebrei e disabili; oppure si potrebbe parlare della politica segregativa italiana che costringe circa 40.000 Rom a vivere in condizioni disumane nei campi che sono dei ghetti; si potrebbe raccontare l’impossibilità per loro di regolarizzarsi, anche volendo, perché per i Rom tutte le porte, o quasi tutte, si chiudono a prescindere, come abbiamo constatato in questi anni grazie alla nostra esperienza di condivisione con loro.
Video con l’inno nazionale Romanì “Gelem gelem”
Il 20 gennaio 2018 presso la comunità terapeutica S. Giuseppe a Castel Maggiore, loc. Sabbiuno (BO), si è tenuto un seminario dal titolo: "Chi sono i Rom?". Relatore Francesco Canuti, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII, conoscitore della cultura Rom.
Chiediamo a Natascia Mazzon, referente dell’Ambito Rom per la Comunità Papa Giovanni XXIII, il motivo che ha spinto ad organizzare questo percorso formativo, pensato per i volontari coinvolti nell’accoglienza e accompagnamento del popolo Rom: « La conoscenza e il dialogo sono i due principi cardine su cui si fonda l’eredità di don Oreste Benzi rispetto alla condivisione con questo popolo. Pensiamo sia fondamentale partire da una solida base di conoscenze, sia del popolo che andiamo ad incontrare, sia delle motivazioni che ci spingono a farlo. La speranza è di riuscire a fornire strumenti efficaci per superare i pregiudizi e aprire il dialogo col popolo Rom.
Il seminario è parte di un percorso che prevede altri 3 seminari durante il 2018. L’obiettivo è conoscere meglio l’identità Romanì, ovvero la Romanipè. Di seguito i temi dei seminari 2018:
Relatori: prof. D. Argiropolus (docente di Pedagogia della marginalità e della devianza all’Università di Bologna); ins. Marcello Brondi (referente del progetto Rom dell'Isituto Comprensivo Cosmè Tura a Ferrara)
17 marzo 2018, presso comunità terapeutica S. Giuseppe, Castel Maggiore, loc. Sabbiuno (BO), via Sammarina 12
Relatore: avv. Laila Simoncelli, avvocato civilista esperta in diritto internazionale.
9 giugno 2018, presso comunità terapeutica S. Giuseppe, Castel Maggiore, loc. Sabbiuno (BO), via Sammarina 12
Relatore: don Renato Rosso, missionario tra i Rom e Sinti dagli anni '70
13 ottobre 2018, presso il Centro Diurno S. Chiara a Fossano (CN) Via Villafalletto, 24
A completare il percorso formativo, durante tutto il 2018 verrà girato un video-documentario alla scoperta della Romanipé, cioè dell’identità Romanì. Il documentario sarà realizzato da Flavio Zanini e avrà i seguenti contenuti:
(di Chiara Bonetto)
La mattina del 26 dicembre la Comunità Papa Giovanni XXIII e alcune famiglie Rom e Sinti di Rimini si sono trovate sulla tomba di don Oreste Benzi al cimitero di Rimini. «Abbiamo pregato insieme, Rom e Gagi, sulla tomba di don Oreste – a parlare è don Adamo Affri, responsabile della Comunità per la zona di Rimini -. Abbiamo fatto esperienza che quando si mette Gesù al centro tutti ci sentiamo fratelli, abitati da un Mistero più grande e assolutamente in comunione mistica tra noi! La fede è una realtà che ci aiuta ad incontrarci senza giudizio e senza paure. Pregare insieme oggi è il germe per una nuova umanità dove tutti ci riconosciamo in Cristo».
«Caro papà Don Oreste» con queste parole Munira ha iniziato la sua preghiera. Ha ringraziato per quello che il papà ha insegnato loro, ricorda quando era tra loro e racconta come anche i figli e nipoti che non lo hanno conosciuto gli vogliano bene. Conclude: «Ti prego papà Don Oreste da lassù, continua a vegliare su di noi e proteggi tutte le persone a cui ha dato da raccogliere quello che tu hai seminato. Proteggi le persone bisognose, specialmente gli ultimi degli ultimi…. Grazie papà!»
Matteo Drudi e Chiara Vitale sono il riferimento nella Comunità per i Rom e Sinti a Rimini. «Credo che il momento vissuto insieme questa mattina tra Rom e Gagi sia rappresentato molto bene nella preghiera di Munira – racconta Matteo Drudi -. Al centro c’era Dio al quale ci siamo rivolti chiedendo l’aiuto di Don Oreste, nostro papà. Da lui è partita la luce simbolo di speranza, luce che guida e scalda, che ognuno di noi ha tenuto in mano durante la preghiera spontanea».
Il momento ha avuto inizio in lingua Romanì, con il saluto O Del Si Tumentsa! (Il Signore sia con voi) e si è concluso con il canto Ave Maria Romanès accompagnato da chitarra e ukulele. Non a caso due strumenti diversi, nati da popoli e culture diverse, ma unite dalle stesse note, per comporre un’unica melodia, quella che da questa mattina abbiamo cantato e vissuto insieme.
La preghiera si è conclusa con un gesto simbolico tipico della cultura Rom: per invitare il caro defunto è stato versato un bicchiere di tè nella terra in cui Don Oreste è sepolto ed è stata lasciata una fetta di panettone ai piedi della tomba… questo è stato il modo per chiedere all’anima di Don Oreste di venire in mezzo a noi ad unirsi alla gioia della festa.
«Quando arriva il Natale, il pensiero va subito alla famiglia – ci dice Chiara Vitale -. il Natale è un fatto avvenuto in una famiglia e ancora oggi è una festa prettamente familiare. Noi oggi abbiamo vissuto la gioia di riconoscerci parte di una grande famiglia, una famiglia senza confini di nessun tipo. Quando due o più popoli si incontrano per pregare insieme è una grande festa, è veramente Natale. Don Oreste ci teneva tantissimo a passare il Natale con le famiglie Rom, proprio lui ci ha insegnato a sentirci tutti parte di una grande famiglia, la famiglia di Dio. Dio si è fatto uomo anzi bambino e ha avuto bisogno di una famiglia. Noi siamo la sua famiglia se non poniamo limiti all'accoglienza dell'altro e scopriamo la bellezza delle diversità in un dono reciproco».
(di Francesca Ciarallo)