Un famoso filosofo sosteneva che prima di valutare una risposta, occorre valutare se la domanda è corretta. Le domande sono fondamentali perché indicano le strade. Pertanto se una domanda è sbagliata, qualsiasi risposta sarà sbagliata. E il referendum sulla depenalizzazione dell'aborto del prossimo 26 settembre a San Marino pone una domanda sbagliata. Sbagliata perché non risponde al bisogno di sostegno posto da una donna che vive una gravidanza imprevista.
La domanda non dovrebbe essere “volete che sia consentito alla donna di abortire”, ma “volete che sia consentito alla donna di essere aiutata, accompagnata, supportata”, in altri termini che non sia lasciata sola.
Il punto centrale della questione “aborto” è come aiutare le donne che per qualsiasi ragione si trovino a vivere una maternità imprevista, che scompiglia la loro vita - “ho già abbastanza figli”, “non abbiamo soldi” - oppure che potrebbe ipotecarne il futuro - “devo finire la scuola”, “vorrei laurearmi”, “mi serve un lavoro sicuro”, “desidero un matrimonio con l'uomo giusto”. L'improvviso arrivo di una maternità non programmata per le donne comporta spesso una perdita di controllo sulla loro vita. In queste situazioni si possono ritrovare in una tale crisi da non vedere vie d'uscita, da sentirsi in pericolo, senza la possibilità di scegliere. Soprattutto si ritrovano sole.
Come proteggere, valorizzare, dare speranza alle donne che vivono una gravidanza inattesa?
Anzitutto occorre prevedere concrete misure economiche per rimuovere tutte quelle cause che generano precarietà nella donna: sostegno alla famiglia, borse di studio per le giovani, servizi a costi calmierati per asilo nido e baby-sitter. Queste devono essere accompagnate da un concreto sostegno psicologico e da una rete territoriale che elimini qualsiasi tipo di stigma verso giovani madri.
In secondo luogo, occorre introdurre nella Repubblica di San Marino l'istituto del “parto in anonimato”. Esso prevede che la madre, pur partorendo in ospedale, non proceda contestualmente con il riconoscimento del figlio all’anagrafe, o abbia comunicato all’atto del ricovero di voler procedere con il parto in anonimato, rendendo così quel bambino immediatamente adottabile da una delle tante coppie idonee. Sappiamo che questa possibilità è poco praticata. Pochissime donne sono disposte a lasciare il proprio figlio. Questo avviene perché alla preoccupazione sulla sorte del proprio figlio si somma il sentirsi una “cattiva madre”. Ciononostante è un istituto che va previsto.
Infine, va eliminato il reato penale che nella Repubblica di San Marino prevede la reclusione fino a tre anni per ogni donna che si procura l'aborto. Sebbene nessuna donna sammarinese sia mai stata condannata, è sufficiente una sanzione pecuniaria. Quando incontriamo le donne che hanno volontariamente abortito ci mettiamo al loro fianco, piangiamo con loro per il lutto, se desiderano le accompagniamo a dare degna sepoltura al bimbo non nato. Non le mandiamo in carcere, ma ci mettiamo accanto a loro.
Per queste ragioni al referendum di San Marino del prossimo 26 settembre occorre dire “no”. E subito dopo, occorre introdurre leggi a difesa della donna e del bambino.
In questo arduo compito invochiamo l'aiuto di San Giuseppe, nell'anno speciale a Lui dedicato. Lui che è stato custode della Sacra Famiglia. Lui che ha protetto la sua sposa quando partorì in circostanze inaspettate, lontano da casa. Lui che portò in salvo il figlio che Dio gli aveva affidato, Gesù Bambino.