«Il ministro Nordio ha detto che bisogna differenziare le carceri in base alla pericolosità e ha parlato anche di usare le caserme; questo perché non ritiene possibile costruire carceri nuove. Queste sue dichiarazioni sono interessanti. Mi auguro che questo governo non cada nell'errore di proporre ma poi di non fare niente: questo rischio è sempre molto alto». Così Giorgio Pieri (nella foto a destra, insieme all'ex ministra Marta Cartabia e all'avvocato Laila Simoncelli), coordinatore delle Comunità Educanti con i Carcerati, CEC, commenta i suicidi in carcere di due donne avvenuti nei giorni scorsi.
E continua: «La questione non è quella di differenziare i percorsi detentivi in base alla pericolosità, ma in base alla persona. Io ho trovato persone che avevano ucciso, ma che sono meno pericolose di altre che hanno commesso furti o rapine. Conosco persone che pur avendo fatto reati gravi, sono più disposti a svolgere percorsi educativi rispetto ad altri. Quindi è sulla dimensione educativa che noi dobbiamo prestare maggior attenzione.
Non è corretto pensare che la pena alternativa sia quella di proporre al detenuto di uscire dal carcere, andare a casa e trovare un lavoro; a mio avviso, dalla nostra esperienza, la soluzione ideale è il proporre al detenuto “pene educative”, cioè pene svolte in luoghi educativi, in spazi dove l’educazione sia messa al centro di un percorso. Lì non c’è più il tempo che passa, ma c’è un tempo che viene usato in maniera intelligente e utile. Allora la pena diventa davvero rieducativa».